IN DIFESA DEI SANTI ESICASTI

IN DIFESA DEI SANTI ESICASTI


PRIMA TRIADE

PRIMA DOMANDA

Ho sentito dire da alcuni che anche i monaci dovrebbero ricercare la saggezza profana per liberarsi dall'ignoranza e dalle false credenze e che, sebbene si raggiunga la più grande impassibilità, non si può tuttavia acquistare la perfezione e la santità se non si recupera il sapere, in particolare quello dell'educazione ellenica, pure esso dono di Dio, come quello concesso attraverso la rivelazione ai profeti e agli apostoli. Tale saggezza fa sì che l'anima acquisti la conoscenza degli esseri, arricchisca la facoltà cognitiva, potenza superiore dell'anima, e scacci tutte le malvagità poiché le passioni nascono proprio dall'ignoranza e in essa si fortificano. Per questi filosofi la sapienza ellenica porta, inoltre, alla vera conoscenza di Dio, cui si può giungere solo attraverso la comprensione delle sue creature.

Comunque, non sono stato affatto convinto dai loro argomenti, perché la mia breve esperienza di vita monastica mi dimostrava il contrarlo, d'altra parte non ho potuto nemmeno difendermi perché parlavano con alterigia: «Non ci occupiamo solamente dei misteri della natura, misuriamo il ciclo celeste, studiamo gli opposti movimenti stellari, le loro congiunzioni, le loro fasi ed il loro levarsi, ricerchiamo le conseguenze che ne derivano e ne siamo orgogliosi e dato che le ragioni di questi fenomeni si trovano nell'Intelligenza divina prima e creatrice, mentre le immagini di queste ragioni esistono nella nostra anima, ci premuriamo di conoscere queste ragioni per liberarci dai segni dell'ignoranza con i metodi della distinzione, del ragionamento e dell'analisi, volendo così, vivi o morti, essere secondo la somiglianza del Creatore».

Sono stato incapace di confutare queste argomentazioni custodendo davanti a loro il silenzio, ma oggi, o padre, ti chiedo di insegnarmi quello che devo dire per difendere la verità e per essere pronto, come dice l'apostolo, a rispondere della nostra speranza (1Pt 3,15).

PRIMA RISPOSTA

1. Fratello, come dice l'apostolo, è bene confermare il proprio cuore nella grazia (Eb 13,9), ma attraverso la parola come si fa ad esprimere il Bene die sta al di là della parola? Pure in questa circostanza bisogna rendere grazie a Dio, perché ti ha riferito questa grazia che non giunge allo spirito di coloro che pensano di sapere tutto nella profusione della loro saggezza. Sebbene tu non riesca a convincerli non devi dispiacertene. La tua convinzione si fonda, infatti, sull'esperienza e, avendo di che sostenerti al fondamento della verità, rimarrai pienamente saldo e sempre immutabile. Quanto a quelli che si appoggiano a costruzioni logiche, certamente cambieranno modo di pensare. Poiché «ogni parola contesta un'altra parola», evidentemente essa stessa è oggetto di confutazione ed è impossibile scoprire quale altro poi la trascinerà via, assicurandosi anch'essa di non essere a sua volta rovesciata. Gli Elleni l'hanno dimostrato bene, tanto che i saggi che seguono il loro insegnamento si confutano continuamente l'un l'altro, lasciandosi confutare a loro volta attraverso l'apparenza di una superiore dimostrazione verbale.

2. Perciò, secondo me, risponderai convenientemente a coloro che si interessano delle filosofie profane e che cercano la conoscenza nell'educazione profana, dicendo così: «Miei ottimi amici, vi procurate più ignoranza che conoscenza». Chi cerca la gloria umana, e si adopera in tutti i modi per averla, ottiene più disonore che gloria, perché non si può essere graditi a tutti. Anche quelli che cercano la conoscenza dai saggi profani raccolgono, come sostengono i loro maestri, più ignoranza che conoscenza, perché le opinioni differiscono e si combattono ed ognuna di esse ha più avversari che difensori.

Non sarebbe forse un grosso errore credere che qualcuno di questi saggi possa scoprire le "ragioni" che si trovano nell'Intelligenza creatrice? Chi conosce l'intelligenza del Signore? (Rm 11,34) si chiede l'apostolo. In assenza di queste "ragioni", la sapienza profana non ci arricchirà l'anima di alcuna immagine spirituale. Infatti, la conoscenza che pretende di scoprire attraverso questa saggezza colui che è ad immagine divina è una falsa conoscenza. Acquistandola, l'anima non diviene affatto simile alla Verità in sé e non potrà nemmeno raggiungerla, quindi il loro atteggiamento provocatorio è futile. Ascoltino san Paolo che chiama carnale la saggezza profana (2 Cor 1,12) e che parla della conoscenza che riempie (1 Cor 8,1) come un'intelligenza della carne (Col 2,18).

In che modo la conoscenza della carne potrà svelare all'anima l'immagine divina? Considerate, egli dice, che fra noi che siamo stati chiamati non ci sono molti saggi secondo la carne, né molti potenti, né molti nobili (1 Cor 1,26). La nobiltà e la potenza della carne non possono rendere l'anima potente e nobile e nemmeno la sapienza della carne può dare alcuna saggezza al nostro intelletto. Infatti, l'inizio della saggezza consiste nell'essere talmente saggi da distinguere e preferire ad una saggezza terrestre, vana e inutile, quella che veramente è utile, celeste e spirituale, quella che proviene da Dio e che a lui conduce, rendendo conformi ad esso coloro che l'acquisiscono.

3. Tuttavia, come loro stessi riconoscono, noi possediamo all'interno le immagini delle "ragioni" che sono nell'Intelligenza creatrice, ma all'origine che cosa rende inconoscibili queste immagini? Non è forse il peccato, l'ignoranza e il disprezzo dei comandamenti? Perché per vedere queste immagini che abitano in noi stessi abbiamo bisogno di un insegnamento? Non è forse perché la parte passionale dell'anima le ha corrotte? Essa non ha forse rovesciato la capacità visiva dell'anima allontanandola dalla bellezza primitiva? È questa che si deve prima di tutto sorvegliare se si vuole custodire intatta l'immagine divina e la conoscenza della verità: allontanarsi dal peccato, osservare la legge dei comandamenti, persistere in tutte le virtù e ritornare a Dio con la preghiera e la vera contemplazione. Senza purezza, anche se tu studiassi tutta la filosofia naturale da Adamo ad oggi, non sarai né meno folle né più saggio.

Pertanto, spogliati di questa filosofia naturale e, a condizione che tu allontani la tua anima dai costumi e dalle malvagie abitudini, acquisterai la saggezza di Dio e solo così, esultante, entrerai nell'eternità con Dio, il solo saggio (Rm 16,27). Le dottrine di cui ho parlato non studiano la grandezza e il movimento del cielo e dei corpi celesti, né le conseguenze che ne derivano, né la terra e quello che la circonda, né i metalli né le pietre preziose che si conservano nelle sue viscere, né i fenomeni che si producono nell'aria secondo il vento che soffia. Concentrare il proprio zelo e il proprio interesse sullo studio delle scienze di simili cose è un'eresia ellenica. Infine, sono tutti stoici quelli che definiscono la scienza il fine della contemplazione.

4. Ed ecco che ora, come tu rilevi, alcuni uomini disprezzano il fine che viene proposto ai cristiani con il pretesto che è troppo modesto: gli indicibili beni che ci sono stati promessi per il secolo futuro! Poiché conoscono solamente la scienza sperimentale, essi cercano di introdurla nella chiesa di coloro che praticano la saggezza di Cristo. Asseriscono che coloro che non possiedono conoscenze scientifiche sono esseri imperfetti ed ignoranti: tutti devono dedicarsi interamente agli studi ellenici e trascurare le dottrine evangeliche; in realtà essi non si spogliano affatto della loro ignoranza, ma si allontanano da colui che dice: siate per­fetti (Mt 5,48), se si è in Cristo si è perfetti (Col 1,28) e noi predichiamo tra i perfetti (1 Cor 2,6), perché ignorano completamente questa scienza.

Quando ho parlato di purezza salutare, non intendevo affatto il superamento dell'ignoranza profana, so per certo che esiste un'ignoranza inaccusabile e una conoscenza da biasimare. Non è dunque spogliandoti di questa ignoranza che sarai ripieno della saggezza di Dio e diventerai veramente sua immagine e somiglianza: la perfezione si raggiunge solo con il compimento dei comandamenti evangelici. Dionigi, interprete della Gerarchia ecclesiastica, l'ha dichiarato apertamente: «l'assimilazione e l'unione, egli dice, come insegnano le Sacre Scritture, si compiono con l'amore e la pratica dei santissimi sacramenti». Se le sue parole fossero errate, se l'uomo potesse ritrovare e contemplare la propria immagine divina con l'aiuto dell'educazione profana, i sapienti greci sarebbero più conformi a Dio e lo vedrebbero meglio dei Padri davanti alla legge e meglio dei profeti del tempo della legge, chiamati a questo onore mentre conducevano vita agreste. Giovanni, il più elevato dei profeti, non ha forse trascorso tutta la sua vita, sin dall'infanzia, nel deserto? Non è forse egli il modello a cui tendono con tutte le loro forze coloro che abbandonano il mondo? Questo è palese. Dove erano nel deserto le inutili scuole di filosofia che da questa gente vengono definite salutari? Dove sono i libri voluminosi e coloro che si consumavano per tutta la loro vita a leggerli e a convincere gli altri di fare altrettanto? In questi libri si trovano, forse, le regole della vita solitaria e verginale dei santi eremiti e l'enunciato scritto della lotta che devono condurre, eccitando il lettore all'imitazione?

5. Tralascio colui che è stato il più sublime fra i nati di donna (Mt 11, l l e Lc 7,28). Salito ad un onore così alto non si è preoccupato per niente di quell'educazione che alcuni dicono conduca a Dio, dato che non aveva letto neanche i testi sacri. Ma perché Colui che è prima dei secoli (Gv 8,58), venuto al mondo per testimoniare la Verità (Gv 18,37) e per rinnovare l'immagine divina e riportarla nuovamente all'Archetipo, perché, domando, non ci ha procurato questa rivelazione per mezzo delle scienze profane? Perché non ha insegnato: se vuoi essere perfetto acquisisci l'educazione profana, sforzati di assimilare le scienze, procurati la scienza degli esseri? per affermare al contrario: Vendi tutto quello che hai, dallo ai poveri (Mt 19,21), prendila croce e seguimi (Mi 16,24; Mc 8,34)? Perché non ha insegnato i rapporti, le configurazioni, le quantità, le fasi e le ingannevoli congiunzioni dei pianeti? Perché non ha risolto le difficoltà dei problemi fisici per estirpare dalla nostra anima le tenebre dell'ignoranza? Per quale motivo i discepoli che chiamava erano pescatori, illetterati, rustici e non sapienti? Non è forse per confondere i sapienti (1 Cor 1,27), come dice san Paolo? Perché ha reso folle la loro saggezza (1 Cor 1,20)? Perché ha ritenuto buono salvare i credenti con la follia della predicazione (1 Cor 1,21)? Non è forse perché il mondo con la sua saggezza non ha conosciuto Dio (1 Cor 1,21)? Questa gente di cui parli cosa impara? E mentre il Verbo di Dio è venuto nella carne, Lui che per noi è stato fatto Saggezza venendo da Dio (1 Cor 1,30), mentre si è accesa la luce che rischiara gli uomini che vanno per il mondo (Gv 1,9), mentre il giorno è apparso e la stella del mattino si è alzata nei nostri cuori (2 Pt 1,19) di credenti, questa gente ha bisogno di una speciale miccia che li conduca alla conoscenza di Dio seguendo i filosofi pagani, i quali inutilmente consigliano di invecchiare presso una lampada fumante e di smettere di purificarsi nella quiete e nel dominio dei pensieri e abbandonare così la preghiera continua che ci innalza fino a Dio.

6. Non è mai venuto loro in mente che siamo stati cacciati dal giardino delle delizie per aver desiderato e gustato l'albero della conoscenza? Non abbiamo voluto coltivarlo e custodirlo (Gn 2,15) secondo il comandamento ed abbiamo ceduto al cattivo consigliere che si era introdotto con l'inganno, per sedurci con la bellezza del bene e del male. Ecco che ora a coloro che non vogliono faticare e custodire i loro cuori secondo l'insegnamento dei Padri, l'ingannatore promette la conoscenza esatta delle sfere celesti, mutevoli e simmetriche, e le loro proprietà. Pure questa è conoscenza del bene e del male. In verità la conoscenza in sé non è né bene né male, ma si modifica in un senso o nell'altro a seconda dell'intenzione di chi la usa. A maggior ragione direi ugualmente che la pratica e gli usi di diverse lingue, la potenza della retorica, la scoperta dei misteri della natura, i diversi modi della logica, i differenti punti di vista nella scienza del calcolo, le misure di forme variate di configurazioni immateriali, tutte queste cose sono sia buone che cattive, non solo perché esse prendono facilmente la forma che dà loro il punto di vista di quelli che le posseggono, ma anche perché il loro studio è buono solamente nella misura in cui sviluppa nell'occhio dell'anima una vista penetrante. Questo studio è invece cattivo per colui che vi si abbandona sino alla vecchiaia. La migliore soluzione, quindi, è di soffermarvisi un po' e poi passare a ciò che è superiore e molto più sicuro, tanto più che il disprezzo delle lettere fa acquisire un largo compenso presso Dio. Per questo il secondo teologo, parlando di sant'Atanasio il Grande, afferma che il profitto da lui tratto dagli studi profani consisté nel definire «quello che giudicò giusto disprezzare». Egli stesso seguì tali insegnamenti perseguendo quello che preferì Cristo.

7. Il maligno cercando di distoglierci con cattiveria da quello che è superiore, procura delle delizie alla nostra anima avvolgendola in maniera quasi indefettibile con legami cari agli uomini pieni di vanità. Egli suggerisce ad alcuni una moltitudine di queste conoscenze, mentre ad altri la ricchezza o la falsa gloria e i piaceri carnali, perché ognuno si occupi, durante la propria vita, della ricerca di queste cose e perché non abbia la forza di intraprendere con fermezza l'educazione che purifica l'anima, il cui principio è il timor di Dio (Pv 1,7), da cui nasce la preghiera continua nella compunzione e nel compimento dei comandi evangelici. Una volta ristabilito, con la preghiera e l'obbedienza, il colloquio con Dio, il timore si cambia in amore e la sofferenza della preghiera in gioia, appare allora il fiore dell'illuminazione; e come un profumo, la conoscenza dei misteri di Dio viene conferita a colui che può sopportarla. Ecco la vera educazione e la vera conoscenza di cui un uomo, consacrato all'amore della vana filosofia, completamente avvolto ed arrotolato dalle sue immaginazioni e dalle sue teorie, non vede neanche lo scopo. Come potrebbe penetrargli nell'anima? Ed anche se vi penetrasse come potrebbe dimorare in un'anima avviluppata, incantata e quasi incatenata da vari e diversi ragionamenti? Ecco perché il timore di Dio è il principio della saggezza e della contemplazione divine; il timore non può abitare in un'anima con altri sentimenti, esso la vuole libera da ogni cosa per renderla luminosa con la preghiera, per farne una tavoletta pronta a ricevere l'iscrizione dei carismi dello Spirito.

8. Il grande Basilio, ricordando le parole del faraone: perdete il vostro tempo, siete pigri, voi dite: preghiamo il Signore nostro Dio (Es 5,17), così commenta: «Ecco la scuola buona e utile per trascorrervi il proprio tempo, mentre la scuola nociva è quella degli Ateniesi, i quali trascorrono il loro tempo nel dire e nell'ascoltare cose nuove, tempo libero che alcuni imitano facendo trascorrere la propria vita e che piace agli spiriti malvagi». E perché non si dica che Basilio ha parlato così solo per designare i chiacchieroni della retorica, ricordiamo quello che afferma altrove quando spiega il comandamento di Salomone: Conosci la saggezza e l'istruzione e comprendi le parole della ragione (Pr 1,2). «Ora, dice, alcuni uomini che dedicano il loro tempo alla geometria, scoperta dagli Egiziani, o all'astrologia, venerata dai Caldei, o che in generale si occupano di figure, di ombre e di meteorologia, hanno rifiutato lo studio delle parole divine; molti di loro, per entusiasmo verso queste cose, sono invecchiati nella ricerca di vanità; perciò negli studi bisogna avere discernimento per scegliere quelli buoni e rifiutare quelli insensati, nocivi e vani». Vedi, gli studi profani li definisce insensati, nocivi e vani, come pure la stessa conoscenza delle scienze e quello che ne deriva, conoscenza che alcuni, come tu dici, dichiarano essere il fine della contemplazione e per questo considerata salvifica. Basilio, scrivendo ad Eustazio di Sebaste, si lamenta della propria vita, perché anch'egli ne ha trascorso gran parte legato a queste scienze: «Io, dice, ho dedicato lungo tempo alla vanità perdendo quasi tutta la mia giovinezza nell'inutile fatica che ho fatto per assimilare le scienze di una saggezza resa folle da Dio: un giorno all'improvviso, come svegliandomi da un sonno profondo, ho compreso l'inutilità di questa saggezza del secolo, ho pianto a lungo sulla mia vita miserabile e ho pregato affinché mi fosse data un'indicazione». Hai inteso quale educazione e quale conoscenza alcuni cercano di esaltare? Esse vengono chiamate: «vanità, fatica inutile, saggezza resa folle, saggezza abolita, saggezza di questo secolo e dei suoi princìpi, saggezza che fa perdere la vita e i costumi conformi a Dio». Ecco perché l'amante della vera saggezza si è pentito di esservisi dedicato: in essa non ha trovato alcuna indicazione per raggiungere la vera sapienza.

9. Oggigiorno, come tu stesso mi dici, esistono persone che giungono ad un notevole grado di impudenza. Affermano che coltivare per tutta la vita l'educazione ellenica non costituisce un ostacolo per raggiungere la perfezione, non ascoltando le parole del Signore che insegnano il contrario: Ipocriti, sapete distinguere i segni del cielo e non sapete distinguere quelli del Regno (Mt 16,3). Il tempo del regno eterno è giunto, il Dio che lo ha donato è fra di noi; se essi cercano veramente di rinnovare l'intelligenza, perché non vanno a lui con la preghiera per ricevere l'antica dignità della libertà, invece di ricorrere a coloro che non hanno saputo nemmeno liberare se stessi? Il fratello di Dio proclama chiaramente: Se qualcuno è privo di saggezza, si rivolga a Dio che la dona a tutti e gli sarà data (Gc 1,5). È forse possibile che la conoscenza derivante dalla saggezza profana scacci dall'anima tutte le cose malvagie che provengono dall'ignoranza, mentre la conoscenza stessa del messaggio evangelico non possa fare altrettanto? Non saranno coloro che ascoltano la legge ad essere salvati, dice Paolo, ma coloro che la compiono (Rm 2,13) e colui che conosce la volontà di Dio e non la compie sarà grandemente castigato (Lc 12,47-48), dice il Signore, più di colui che non la conosce. Non vedi che la conoscenza non serve a nulla? Perché si deve parlare solamente delle cose che si devono fare o del mondo visibile o di quello invisibile? No: la conoscenza di tutte le cose che Dio ha creato non serve a niente. «Quale utilità trarremo dai dogmi, se non conduciamo una vita d'amicizia con Dio, che è venuto a radicarla sulla terra» lo dice Giovanni il teologo dalla bocca d'oro? Per di più: non solo non esiste alcuna utilità in questo tipo di conoscenza, ma ne deriva più spesso grave danno per coloro che la seguono, e dai discorsi che tu mi hai riportato risulta che anch'essi sono delle vittime. Infatti, che cosa dice colui che non è venuto con la superiorità della parola, per non distruggere il mistero della croce (1 Cor 1,7 e 2, 1), colui che non parla con le parole convincenti della saggezza umana, colui che non co­nosce nulla se non il Signore Gesù e questi crocefisso (1 Cor 2,2), come scrive ai Corinti? La conoscenza riempie di orgoglio (1 Cor 8,1). Vedi che il culmine del male, il crimine tipico del diavolo, è l'orgoglio nato dalla conoscenza? È possibile che ogni passione provenga dall'ignoranza? La conoscenza purifica l'anima? San Paolo sostiene: la conoscenza riempie d'orgoglio, l'amore edifica. Esiste dunque una conoscenza senza amore, la quale non purifica totalmente l'anima, anzi la uccide perché è priva d'amore, testa, radice e corpo di ogni virtù. Perché la conoscenza che non edifica nulla di buono (che è proprio dell'amore), non permette di assomigliare all'immagine di Colui che è buono? Tuttavia, questo aspetto della conoscenza, che secondo l'apostolo riempie d'orgoglio, appartiene al campo della fede e non della natura? Se questa conoscenza riempie d'orgoglio, quanto più lo farà quella di cui parliamo, dato che è naturale e propria del vecchio uomo (Ef 4,22). L'educazione profana serve infatti per la conoscenza naturale e non può mai divenire spirituale, a meno che non si unisca alla fede e all'amore di Dio. O meglio, essa lo può diventare rigenerandosi non solo nell'amore, ma anche nella grazia che deriva da esso, divenendo diversa da ciò che è, nuova e deiforme, pura, pacifica, indulgente, persuasiva, piena di parole fruttuose che edificano coloro che le ascoltano e per questo viene chiamata saggezza dall'alto (Gc 3,17), saggezza di Dio (1 Cor 2,7). Essendo in qualche modo spirituale, essendosi sottoposta alla saggezza dello Spirito, conosce e riceve i doni dello Spirito. L'altra saggezza invece è bassa, psichica e demoniaca, come dice l'apostolo fratello di Gesù (Gc 3,15). Non riceve i doni spirituali perché è scritto: l'uomo psichico non riceve i doni dello spirito (1 Cor 2,14). Poiché vengono considerati come una follia, un errore e una falsa opinione, si cerca di eliminarli conducendo una lotta aperta per distogliere i sensi e introdurvi, per quanto possibile, una falsa dottrina. Essa, con l'astuzia, ne associa pure alcuni per manipolarli a suo beneficio, come fanno gli stregoni con i cibi dal sapore dolce.

10. La conoscenza che procede dall'educazione profana non solo è diversa, ma è anche contraria alla conoscenza vera e spirituale. Tuttavia sembra che alcuni si siano persi da loro stessi e che cerchino di smarrire anche coloro che li ascoltano: ne parlano come se fosse una sola e medesima conoscenza e dichiarano che essa costituisce il fine della contemplazione. Ecco un fatto che ti farà scoprire qualcosa sulla abissale profondità del male in cui sono caduti i filosofi profani. Il maligno e questi filosofi, che da lui traggono la loro perizia nel male, si sono impossessati di uno dei nostri più utili precetti e se ne servono come di un'esca pericolosa, grazie all'identità dei termini impiegati: sii attento a te stesso (Dt 15,9) e conosci te stesso. Però se tu indaghi per sapere quale sia secondo loro lo scopo di questo precetto, troverai un baratro di empietà: essi insegnano la metempsicosi. Non si può conoscere se stessi, sostengono, ed essere fedeli al precetto senza conoscere il corpo in cui altre volte si è stati legati, il luogo in cui si abitava, quello che si faceva e ciò che si ascoltava. Queste cose si apprendono obbedendo allo spirito maligno che, in segreto e con perfidia, le mormora. Ecco dove finiscono coloro che non riescono a scorgere l'inganno del Conosci te stesso, dato che pensano di parlare in conformità con i Padri. Paolo e Barnaba, non ignorando i pensieri del maligno contestarono la donna che diceva loro: Questi uomini sono servitori del Dio Altissimo (At 16,17). Cosa si poteva esprimere di più pio con queste parole? Essi, infatti, conoscevano colui che prende l'apparenza di un angelo di luce (2 Cor 11,14), sapevano che questi servi imitano i servitori della giustizia (2Cor 11,15), per questo respinsero la parola vera che non si confaceva ad una bocca mendace.

11. Sebbene si ascoltino le parole di pietà pronunciate dagli Elleni, non si pensi che venerino Dio e né si contino fra i nostri maestri, poiché hanno rubato le parole ai nostri. Uno di loro, a proposito di Platone, afferma: «Chi è Platone se non un Mosè che parla attico?» . Sappiamo, dunque, che se presso di loro c'è qualcosa di buono, è da noi che l'hanno tratto senza per questo comprenderlo. Anche se uno di loro si esprimesse con le loro stesse parole dei Padri, avremmo una concordanza solo verbale, essendo diverso il pensiero. Infatti, questi ultimi, secondo Paolo, hanno l'intelligenza di Cristo (1 Cor 2,16), gli altri esprimono nella forma migliore un ragionamento umano. Come il cielo è distante dalla terra, così il mio pensiero è distante dai vostri pensieri (Is 55,9), dice il Signore. D'altronde, anche se questi filosofi, a volte, avessero un pensiero in comune con Mosè, Salomone e i loro discepoli, cosa servirebbe loro? Quale uomo sano di spirito, appartenente alla chiesa, potrebbe concludere che il loro insegnamento proviene da Dio? Allo stesso modo dovrebbe allora affermare che anche gli eretici, apparsi dopo Cristo, ricevevano le loro dottrine da Dio, dato che anche loro esprimono una verità simile, manipolando quella ricevuta dalla chiesa. Ogni dono perfetto viene dall'alto, dal Padre delle luci (Gc 1,17), ha dichiarato il discepolo della luce. Le verità mutile degli eretici non fanno che danneggiare chi li ascolta. Un essere vivente anche se è mutilato è sempre vivente, ma un dio che non crea dal nulla, che non è esistito prima delle nostre anime, né prima di quello che chiamiamo la materia informe, o meglio prima della materia che in se stessa possiede il suo equilibrio e la sua forma, senza essere ancora ordinata, come può essere Dio? E per aggiungere la parola del profeta: Che scompaiano questi dèi che non hanno creato nulla, dal nulla, né la terra né il cielo (Ger 10,11) e con loro quelli che affermano che sono degli dèi. Questi a cui si dà il titolo di teologi o di maestri, e che ritengono di poter prendere in prestito i loro termini teologici, bisogna pure menzionarli? Bisogna, forse, escludere dalla luce ogni uomo che viene nel mondo (Gv 1,9) ed aspettare che queste terribili tenebre dell'ignoranza ci diano l'illuminazione, col pretesto che anche nei serpenti c'è qualcosa di utile? Però, la carne dei serpenti è utile se li si uccide, se la si secca, se la si prepara e la si usa con discernimento contro i loro morsi. Quelli che li uccidono, in questa maniera, ne ricavano vantaggio contro gli stessi serpenti, come se con la propria spada uccidessero un nuovo Golia che si innalza e che si oppone a noi, che ingiuria l'esercito del Dio vivente (1 Re 17,36) educato intorno alle cose divine assieme a peccatori ed illetterati.

12. Noi non proibiamo a nessuno, se qualcuno lo desidera, di iniziarsi all'educazione profana, a meno che non abbia abbracciato la vita monastica. Però non consigliamo nemmeno di dedicarvisi sino alla fine, e con fermezza proibiamo di trarne una qualsiasi certezza riguardo la conoscenza delle cose divine, perché è impossibile ricavarne un qualche insegnamento su Dio. Dio l'ha resa folle; non che l'abbia creata così - infatti, in che modo la luce produrrebbe le tenebre? - ma l'ha destinata a sbagliare nella sua follia, senza rapportarla alla sua saggezza. Attenzione! Poiché se si afferma questo si potrebbe dire che la legge data a Mosè è anch'essa abrogata e resa folle in seguito all'apparizione della legge della grazia. In realtà essa è per nulla contraddetta da Cristo dato che proviene dal Padre, mentre la saggezza degli Elleni è stata certamente resa folle per il fatto che non procede da Dio. Ora, tutto quello che non proviene dalla divinità non esiste, dunque la saggezza degli Elleni è una falsa saggezza. L'intelligenza che l'ha scoperta, in quanto intelligenza deriva da Dio, ma la saggezza, dato che si è allontanata dal fine che le era proprio, non deve essere considerata come una saggezza, ma piuttosto un aborto di saggezza, contraria alla religione, una saggezza, cioè, resa folle. È per questo che l'apostolo dice che è stata resa folle, non dal suo stesso sapere, ma perché ricerca le cose di questo secolo, non conosce il Dio eterno e non vuole conoscerlo. È dopo essersi chiesto: dov'è il cercatore di questo secolo? che l'apostolo aggiunge immediatamente: Dio ha reso folle la saggezza di questo secolo (1 Cor 1,20), dimostrando, cioè, come questa si fosse allontanata dalla vera conoscenza e come sia stata resa folle dall'intervento di Dio e della sua Sapienza apparsa sulla terra. Secondo Dionigi, «il bene superiore non si oppone a quello inferiore», così le cose intelligibili non si indeboliscono le une con le altre e ogni cosa bella vede accresciuta la sua bellezza con l'apparizione della bellezza superiore. Cosa accadrà quando la stessa Potenza, fonte del bello, apparirà? Non si potrà dire che le "seconde luci", intendo con ciò le nature che sono al di sopra di questo mondo, saranno rese inutili dalla prima Luce che illumina; né che la nostra ragione e la nostra intelligenza, inferiore di molto a queste luci, tuttavia sempre luci, diverranno tenebre a causa dell'apparizione della luce divina, visto che essa è apparsa per ogni uomo che viene in questo mondo (Gv 1,9). Colui, però, che si opporrà a questa luce, sia esso angelo o uomo, diverrà tenebra, perché si separerà da essa di sua volontà e da essa verrà abbandonato.

13. È in questo modo che la saggezza profana, opponendosi a quella divina, è divenuta follia. Se fosse stata capace di discernere e di annunciare la sapienza di Dio alle creature, se avesse fatto apparire ciò che era nascosto, se fosse stata uno strumento di verità per far scomparire l'ignoranza, se per partecipazione fosse stata quello che l'oggetto del suo messaggio è in quanto Causa, come avrebbe potuto essere resa folle da Colui che ha donato la saggezza alla creazione? Come mai lo svantaggio che ha ricevuto non la conduce alla Saggezza stessa di Dio, apparsa di fronte all'universo? Colui che ha stabilito la pace nel mondo intero, e in particolare in ogni creatura, non combatterebbe forse se stesso dato che da una parte sarebbe fonte di saggezza, e dall'altra, in seguito alla sua venuta, la colpirebbe assieme a quelli che l'hanno ricevuta? Bisognerebbe che questa saggezza esistesse non per essere resa folle, ma per essere completata allo stesso modo della Legge antica, a proposito della quale Paolo scrive: aboliamo dunque la Legge! Mai, al contrario la confermiamo (Rm 3,31). Il Signore ci esorta anche a scrutarla, perché in se stessa possiede la vita eterna, e dice ancora: se voi avete avuto fede in Mosè, avete fede in me (Gv 5,46). Vedi quale straordinaria concordanza esiste fra la Legge e la grazia? Per questo motivo quando è apparsa la vera luce la Legge è migliorata, si è manifestata nella sua bellezza nascosta, ma questo non riguarda la saggezza ellenica, quest'ultima con un involucro di parole eleganti, piacevoli ed insinuanti nascondeva la follia. Qui non si tratta di una follia per trascendenza, come sarebbe se fosse al di sopra della ragione, tale è la denominazione misteriosa della saggezza di Dio (1 Cor 2,14), ma di una follia dovuta all'assenza di conoscenza della verità, visto che ha tralasciato il fine che conviene ad una saggezza tipicamente umana. Essa, non solo l'ha abbandonato, ma si è completamente smarrita in una direzione contraria per proseguire nella menzogna, credendola verità. Essa cerca di calunniare la verità come se fosse menzogna, ed oppone la creazione al Creatore. Anche oggi essa agisce utilizzando le Scritture dello Spirito contro lo Spirito, contro le sue opere e gli uomini spirituali.

14. L'insensata filosofia dei saggi profani non comprende e non rivela la saggezza divina. Come potrebbe essere diversamente, dato che per suo mezzo il mondo non ha conosciuto Dio? (1 Cor 1,21). Quando Paolo dice che conoscendo Dio non l'hanno glorificato come Dio (Rm 1,21), contraddice forse se stesso, lui, discepolo ed erede della pace soprannaturale, presente in ognuno di noi e data solo da Cristo? Egli afferma, però, che i filosofi sono riusciti solo a concepire Dio, ma in maniera a lui poco conveniente: non l'hanno glorificato come il Creatore di tutte le cose, come l'Onnipotente, come Colui il cui sguardo si allarga su tutto, come l'unico essere senza inizio ed increato. Questo perché, abbandonati da Dio, i saggi, come sempre ha dimostrato Paolo, furono abbandonati al loro senso reietto, perché adoravano la creatura invece del Creatore (Rm 1,28 e 25), rotolandosi nel fango della vergogna e delle basse passioni. E peggio: hanno stabilito leggi e composto scritti, si sono accordati con demoni e fanno l'elogio delle passioni. Vedi, dunque, che la sapienza dei filosofi di questo mondo possiede la follia sin dall'inizio e che per questo partecipa alla sua stessa natura. Non l'ha acquisita dall'esterno. Colui che l'ha rifiutata, gettandola dal cielo, quello stesso l'ha resa folle oggi venendo sulla terra, perché essa si oppone alla semplicità e alla diffusione del Vangelo. Infatti, l'uomo che le accorda ancora l'attenzione della sua intelligenza, sperando per suo mezzo di poter raggiungere la conoscenza di Dio o di ricevere la purificazione dell'anima, subisce i suoi mali e da saggio diventa folle. La prova evidente di questa sua follia, la prova prima e unica, è che attraverso la fede non accetta le tradizioni che abbiamo ricevuto dai santi Padri, pur sapendo che sono migliori e più sagge di quelle che provengono dalla ricerca e dal ragionamento umano. Questo lo sanno non solamente quelli che hanno ricevuto queste tradizioni, ma anche quelli che per esperienza ne hanno raccolto i frutti, perché nel loro intimo comprendono che la follia di Dio è più saggia di quella degli uomini (1 Cor 1,25), potendone recare testimonianza.

15. Questa, però, è solo la prima prova che i saggi sono grandemente folli. Ecco la seconda, ancora più importante: la potenza della ragione inesistente e resa folle entra in conflitto con coloro che accettano queste tradizioni nella semplicità di cuore; disprezza gli scritti dello Spirito, seguendo l'esempio degli uomini che li hanno trascurati e che hanno innalzato la creazione contro il Creatore; essa combatte le attività mistiche dello Spirito che agiscono meglio della ragione. La terza prova, più evidente, è questa: i saggi affermano di essere stati resi tali da Dio, come i profeti, nonostante Platone, facendo l'elogio di uomini celebri come loro, dica chiaramente all'inizio del suo encomio, che sono affetti da pazzia: «il risultato di opere poetiche composte senza l'aiuto dei demoni in se stesso è imperfetto, l'opera dell'uomo che si domina è oscurata da quella dei folli». Prima di iniziare a dissertare sulla natura del mondo attraverso la voce di Timeo, lo stesso Platone fa voto di non dire nulla che non sia caro agli dèi. Ma la filosofia cara ai demoni come può essere di Dio e procedere da lui? Per quanto riguarda Socrate, un demone lo accompagnava nell'iniziazione e probabilmente fu lui stesso a suggerirgli che era il più saggio degli uomini. Omero invoca una dea che lo ispiri a cantare l'ira di Achille, permettendo al demone di usarlo come strumento, facendo così risalire la causa della propria saggezza e della propria eloquenza a quella dea. A Esiodo, autore della Teogonia, non basta subire l'azione di un solo demone, bensì di nove nello stesso tempo sia da Pieria che da Elicona. Egli, infatti, «si è riempito di ogni specie di saggezza che loro gli hanno infuso, mentre conduceva al pascolo per la montagna i maiali, mangiando l'alloro dell'Elicona». Un altro dio fa godere della sua luce un altro di questi saggi; un altro testimonia di aver imparato tutto da una musa poetica. Un altro fa voto che un intero coro di muse danzi nella sua anima, affinché la figlia di Pieros dalle sette stelle gli infonda il suo insegnamento sulle sette zone, i sette pianeti e le loro proprietà, Urania, figlia di Giove, gli insegni l'astrologia e gli dèi guardiani di quaggiù gli insegnino i misteri della terra.

16. Vuoi indurci ad affermare che coloro che parlano apertamente in questa maniera posseggono la saggezza divina? No, fino a quando sentiremo il bisogno della vera saggezza che non penetra nell'anima colma di artifici e amica dei demoni; e se mai vi fosse penetrata prima, sarebbe comunque fuggita prima non appena l'anima si fosse rivolta al male. Questo perché lo Spirito Santo educatore si allontana dai pensieri privi di intelligenza (Sap 1,5), come afferma Salomone. C'è qualcuno più idiota di questi che si vantano di essere iniziati ai misteri dei demoni, attribuendo loro l'origine della propria saggezza? Quanto contestato finora non riguarda la filosofia in generale, ma la loro filosofia. Infatti, come dice san Paolo, non si può contemporaneamente bere la coppa del Signore e quella dei demoni (1 Cor 10,21), come si può possedere la saggezza di Dio, essendo ispirati dai demoni? Colui che ha intravisto nella vera sapienza un mezzo di Dio, ha conosciuto Dio. Il grande Dionigi afferma: «Bisogna che i veri filosofi della conoscenza degli esseri risalissero alla causa degli esseri».

17. Il vero filosofo, dunque, risale alla Causa, e colui che non lo fa non è un vero filosofo e non possiede la saggezza, ma una specie di idolo mendace della vera saggezza, una sua negazione. Come si può chiamare «Saggezza divina» una sua negazione? D'altro canto l'intelligenza demoniaca in quanto intelligenza è una cosa buona, ma diviene cattiva quando abusa di se stessa. Conoscere meglio tutte le misure del mondo, le evoluzioni e le definizioni dei corpi celesti è un'intelligenza priva di intelligenza, piena di tenebre, visto che non impiega la sua conoscenza per avvicinarsi a Dio. Allo stesso modo, la saggezza ellenica pensa di potersi fondare sulla saggezza di Dio per dimostrare che Dio non è il Signore di tutte le cose e neanche il Creatore dell'universo. Non si ricorda che tutto ha una causa! Rifiuta di adorare il vero Dio e «oppone, come dice Dionigi il Grande, irreligiosamente le cose divine a se stesse», divenendo così folle ed insensata. Come sarebbe la saggezza divina? Riguardo a ciò Paolo ci mostra che essa ha due aspetti; egli afferma: Nella saggezza di Dio il mondo non ha conosciuto Dio con la saggezza (1 Cor 1,21). Non rilevi che da una parte ha parlato della saggezza di Dio e dall'altra semplicemente di saggezza, causa dell'ignoranza di Dio? Quest'ultima è quella scoperta dagli Elleni. Cosa dice ancora più avanti il teosofo? Noi predichiamo la saggezza di Dio (1 Cor 2,7). Forse che gli Elleni sono d'accordo con lui, o meglio, che Paolo sia d'accordo con loro? Per niente! Egli stesso esclude la possibilità di una simile affinità quando sostiene: Noi predichiamo fra i perfetti una saggezza che non è la saggezza di questo secolo, né i princìpi di questo secolo che vanno distrutti, ma una saggezza che nessuno di questo secolo ha conosciuto (1 Cor 2,6.8). Quest'ultima si trova in noi nel Cristo Gesù che per noi è stato fatto saggezza da Dio (1 Cor 1,30). Per quanto riguarda l'altra saggezza, essa non è in noi, ma nelle creature che si osservano, ricercandone i princìpi, giungendo così ad una certa concezione di Dio, ricavata dalla natura e dalla creazione.

18. Questi filosofi sono giunti ad una certa concezione di Dio esaminando la natura delle cose sensibili, però non sono pervenuti ad una concezione degna di Dio e della sua natura beata. I loro cuori insensati sono stati ottenebrati (Rm 1,21) dai demoni malvagi che trasmettevano loro il proprio insegnamento con raccapriccianti manovre. Infatti, quest'ultimi, come avrebbero potuto essere scambiati per dèi se un pensiero degno di Dio fosse apparso nella ragione di questi filosofi? Hanno calunniato sia Dio che la natura e così, avvolti da questa saggezza piena di stupidità e follia e dalla loro misera educazione, hanno privato Dio della sua sovranità trasferendola alla natura. Erano poi dell'opinione che il Nome divino appartenesse ai demoni allontanandosi così di molto dalla conoscenza reale degli esseri, oggetto del loro desiderio e del loro zelo. Hanno pure sostenuto che gli esseri inanimati avessero un'anima e che partecipassero ad un'anima superiore alla nostra, e che gli esseri privi di ragione ne avessero una, dato che potevano ricevere un'anima umana, e credevano, inoltre, che i demoni ci fossero superiori e fossero i nostri creatori. Fra le cose coeterne a Dio, increate e senza principio, hanno posto non solo la materia e quella che chiamano Anima del Mondo con gli intelligibili privi dello spessore corporale, ma anche le nostre anime Possiamo supporre che coloro che filosofeggiano in questo modo posseggano la saggezza di Dio, o quanto meno, che posseggano una saggezza umana? Un buon albero, dice il Signore, non dà frutti cattivi (Mt 7,18). Per quanto mi riguarda, quando vi penso, credo che questa saggezza non possa essere nemmeno definita «umana», infatti essa è in contraddizione con se stessa quando afferma che gli esseri possono essere sia animati che inanimati, dotati o sprovvisti di ragione, per sostenere poi che esseri per natura privi di sensibilità e di organi necessari a queste facoltà, possono conte­nere le nostre anime. Se Paolo qualche volta si riferisce alla saggezza umana, lo fa in questi termini: La mia predicazione non si fonda sulle parole persuasive della saggezza umana (1 Cor 2,4), e di nuovo: Non parleremo con parole che insegna la saggezza umana (ICor 2,13); egli ritiene giusto chiamare quelli che l'hanno acquisita: saggi secondo la carne (1 Cor 1,26), saggi resi folli (Rm 1,22) e disputanti di questo secolo (1 Cor 1,20). Allo stesso modo la loro saggezza viene da lui definita con simili parole: essa è saggezza resa folle, saggezza abolita, vana frode, saggezza di questo secolo che appartiene ai princìpi aboliti di questo secolo.

19. Anch'io odo la voce del padre che dice: «Guai al corpo che non distrugge il nutrimento esteriore e guai all'anima che non riceve la grazia dall'alto! ». E giusto. Il corpo quando sarà inanimato perirà, e l'anima, una volta sviata da se stessa, si lascerà trasportare nella strada del male e dai pensieri dei demoni. Se si afferma che la filosofia, in quanto naturale, è un dono di Dio, si dice il vero e non ci si contraddice, però questo non toglie l'accusa che pesa su coloro che l'hanno usata male, abbassandola a fini contro natura. Sappi anche che la loro condanna sarà più pesante, perché hanno impiegato quello che è stato dato loro da Dio contro di lui. D'altronde l'intelligenza demoniaca, in quanto creata da Dio, possiede per natura la facoltà di ragionare, tuttavia non si può assolutamente affermare che essa provenga da Dio, solo la sua possibilità di azione proviene da lui: si può giustamente affermare che la ragione è follia. Anche l'intelligenza dei filosofi profani è un dono divino nella misura in cui possiede per natura una saggezza dotata di ragione, essa però è stata talmente allontanata da Dio dalle astuzie del maligno che si è trasformata in saggezza folle, cattiva ed insensata, perché difende simili dottrine. Si può anche affermare che perfino i demoni possiedono un desiderio e una conoscenza non pienamente malvagi, dato che desiderano esistere, vivere e pensare. Riteniamo, però, che nessuna cosa in se stessa è cattiva, ma lo è se si allontana dall'azione che le è propria e conveniente e dal suo fine ultimo.

20. Quale deve essere il fine di coloro che ricercano la saggezza di Dio nelle creature? Non devono forse acquistare la verità e glorificare il Creatore? Questo è chiaro a tutti, però la conoscenza dei filosofi pagani si è allontanata dall'uno e dall'altro fine. È utile in qualcosa? Sicuramente. I medici pensano che non vi sia farmaco migliore di quello che si trae scorticando la carne dei serpenti, e per confezionare antidoti efficaci essi utilizzano gli alimenti più dolci per celare al palato il dannoso preparato. Allo stesso modo anche í filosofi pagani posseggono qualcosa di utile, come nel miscuglio di miele e di cicuta; però sono da temere coloro che vogliono dividere il miele dal miscuglio, perché inavvertitamente possono ingurgitare un residuo mortale. Se tu esaminassi a fondo il problema vedresti che tutte o quasi tutte le eresie traggono da qui la loro origine. Gli «icognosti», infatti, ritengono che l'uomo riceva l'immagine di Dio con la conoscenza e che essa renda la propria anima conforme a Dio. È stato detto a Caino: quello che offrirai rettamente, senza rettamente dividere... Ma dividere rettamente non è proprio di tanti uomini: dividono giustamente solo coloro che hanno i sensi dell'anima affinati a discernere il bene e il male. Che bisogno abbiamo di correre inutilmente questi pericoli quando possiamo contemplare nelle creature la saggezza di Dio non solo senza alcun pericolo, ma con utilità? Solo la speranza in Dio libera dalle preoccupazioni e spinge l'anima alla comprensione delle creature di Dio: l'anima allora viene presa da stupore e approfondisce la sua comprensione, persistendo nella glorificazione del Creatore e, con questo miracolo, si trova trasportata in ciò che le sta al di sopra. Secondo sant'Isacco: «essa incontra tesori che non si possono esprimere con parole» e servendosi della preghiera come di una serratura, penetra in quei misteri che l'occhio non ha vasto, l'orecchio non ha inteso, perché non sono saliti nel cuore dell'uomo (1 Cor 2,9), ma manifestati a coloro che ne sono degni solo dallo Spirito, secondo quello che dice Paolo.

21. Vedi la strada più breve, più vantaggiosa e priva di pericolo che conduce ai tesori sovrannaturali e celesti? A1 contrario, nella saggezza profana devi prima uccidere il serpente, dopo aver sconfitto l'orgoglio che ti deriva dalla saggezza. Quale difficoltà! Per questo si dice: «l'arroganza della filosofia non ha niente in comune con l'umiltà». Dopo averlo vinto devi separarti da lui e gettare la testa e la coda, perché sono cose estremamente malvagie: l'opinione errata sulle cose intelligibili, divine e originarie e gli scritti fantastici che riguardano la creazione. Devi allontanarti dai concetti nocivi allo sviluppo delle facoltà di discernimento e di osservazione che possiede la tua anima, come fanno i creatori di farmaci che purificano le carni di serpente con fuoco e acqua. Tuttavia se userai con senno questa parte ben scorticata della saggezza profana, non ci sarà nulla da ridire, perché per natura può divenire uno strumento del bene, sebbene non possa essere chiamata dono di Dio perché essa appartiene all'ordine della natura, e non a quello metafisico. Infatti Paolo, sapiente sulle cose divine, la chiama carnale (2Cor 1,12): Vedete, fra noi che siamo stati chiamati non ci sono saggi secondo la carne (1 Cor 1,26). Chi sarebbe in grado di far miglior uso della propria saggezza se non quegli uomini che Paolo chiama saggi del mondo esterno? (1 Tm 3,7). Questi, avendo avuto come meta la saggezza, correttamente li chiama saggi secondo la carne.

22. Il piacere della procreazione nel matrimonio canonico, essendo un piacere carnale non può essere attribuito a Dio; allo stesso modo la conoscenza profana non si può che ritenere naturale e non originata dalla grazia. Il fatto che essa si acquisisca attraverso la pratica (con sforzo e fatica) comprova la sua origine naturale, non spirituale. La nostra teosofia è un dono divino, non naturale; la ricevono dall'alto gli umili peccatori, secondo Gregorio il Teologo, ed essi divengono figli del tuono la cui parola risuona sino ai confini dell'universo; trasforma i pubblicani e i persecutori in mercanti di anime: Saulo diviene Paolo ed abbandona la terra per raggiungere il terzo cielo e comprendere cose indicibili (2Cor 12,2-4). Per suo mezzo diveniamo simili all'immagine di Dio e tali rimaniamo anche dopo la morte. Si dice che Adamo possedesse la saggezza naturale più di tutti i suoi discendenti, anche se è stato il primo a non preservare la conformità dell'immagine. D'altra parte la filosofia profana, supporto di questa teosofia, esisteva prima della venuta di Colui che doveva richiamare l'anima alla sua bellezza originaria: allora, mi chiedo, perché non siamo stati rinnovati prima dell'avvento di Cristo? Perché abbiamo avuto bisogno non di un maestro di filosofia, non di un'arte che scomparisse con questo secolo, ma di Colui che toglie i peccati del mondo (Is 53,7 e Gv 1,29) e che dà la sapienza vera ed eterna? Vedi chiaramente che non è lo studio della scienza profana che conduce alla salvezza e purifica la capacità di conoscenza dell'anima, rendendola simile all'archetipo divino. Terminerò come si conviene: se un uomo si volge verso le prescrizioni della Legge per trovarvi la purificazione, Cristo non gli servirà a niente, non più delle scienze profane, anche se in altri tempi queste prescrizioni sono state emanate da Dio. Se qualcuno si rivolge alla filosofia profana, Cristo non gli sarà utile. Paolo, bocca di Cristo, dice che questi ce ne dà testimonianza.

23. Fratello, ecco cosa dirai a coloro che esaltano oltre misura la saggezza profana. Mostra loro, riferendoti ai passi qui sotto riportati, quanto inutile e disprezzabile essa si manifesti agli occhi dei nostri santi Padri, soprattutto a coloro che ne hanno fatto esperienza.

Del Nisseno, dalla Contemplazione della creazione del corpo: «Questa è la legge del gregge spirituale: non sentire necessità della voce che trattiene all'esterno della chiesa e, come dice il Signore, non dar mai ascolto ad una voce estranea».

Dello stesso, a Eupatrio: «Il tuo zelo per le lettere profane ci fornisce la prova che non hai alcuna sollecitudine per le discipline divine».

Del grande Basilio, dal Commento al salmo VII: «Abbiamo trovato due significati della parola verità: uno concernente la comprensione delle due vie che conducono alla vita beata, l'altro la pura conoscenza di un qualche fenomeno del mondo. La prima verità contribuisce alla nostra salvezza: essa si trova nel cuore del perfetto che la trasmette, senza mutarla, al suo prossimo; quello che riguarda la terra e il mare, le stelle con i suoi movimenti o la loro velocità, se non conosciamo la verità che li riguarda, non ci faranno entrare nella beatitudine promessa». Del grande Dionigi, dal primo libro della Gerarchia ecclesiastica: «Come insegnano le Sacre Scritture, l'assimilazione e l'unione con Dio, si completano solamente con l'amore e la santa pratica dei venerabili comandamenti».

Di Crisostomo, dal Commento del santo Vangelo secondo Matteo: «Neppure in sogno i saggi profani si sono immaginati quello che i peccatori e gli illetterati ci annunciano con numerosi ragguagli. Avendo abbandonato la terra, essi parlano di tutto quello che c'è nei cieli, ci fanno scorgere una nuova vita e una nuova esistenza, una nuova libertà e una nuova schiavitù e un altro mondo, in parole povere tutte cose diverse, non come Platone e Zenone che si sono limitati a compilare leggi. La loro stessa personalità ci ha mostrato che uno spirito selvaggio e un demone maligno, che combatte la nostra natura, ha istruito le loro anime. I peccatori ci insegnano delle conoscenze che nessun filosofo è mai riuscito a comprendere; giustamente le teorie di questi filosofi sono passate e scomparse nel disprezzo, prive di valore come una ragnatela, o meglio, come oggetti degni d'essere derisi, impudenti, pieni di tenebre e di futilità. Le nostre dottrine non sono però di questo tipo».

Di san Gregorio il Teologo: «La saggezza prima è una vita piena di lodi, una vita che sta per essere purificata dal Purissimo e dal Luminosissimo, da Colui che ci chiede un solo sacrificio: la purificazione. La saggezza prima sta nel disprezzare quella fatta di parole, di sottigliezze verbali ed antitesi ingannevoli e superflue. Ecco la saggezza di cui mi vanto e che ricerco: quella con cui i peccatori hanno limitato l'intera ecumene con i vincoli del Vangelo, con la loro parola perfetta e concisa, dopo aver vinto la saggezza abolita».

Di san Cirillo, dal Commento al salmo IX: «Coloro che hanno praticato la saggezza mondana, demoniaca ed animale fanno sprofondare nel fuoco Coloro che sono poco intelligenti; li trasformano in figli della geenna, parlano in favore della menzogna, con la lingua tesa ornano la loro astuzia, riuscendo così ad ingannare molta gente che si fa carpire con i consigli dei ciarlatani come cadessero dai t ili, perché tutti i loro consigli sono trappole e nodi che scorrono per coloro che sono ignoranti».

Del Nisseno, dal Commento all'Ecclesiaste: «Guarda la dimostrazione sillogistica dell'Ecclesiaste: molta conoscenza segue a molta saggezza ed un'abbondanza di sofferenze fa seguito ad un'abbondanza di conoscenza (1,18). Così l'assimilazione delle numerose scienze superflue dei profani, la saggezza e la conoscenza umane più elevate, acquisite con veglie e dolori, non soltanto non arrecano niente di necessario, niente di utile, niente che procuri la vita eterna a coloro che vi dedicano il loro zelo, ma, al contrario, solo sofferenze più grandi. Tutto questo bisogna abbandonarlo e vegliare nel canto, nelle preghiere e nelle suppliche verso il proprio Creatore, nostro Dio e Signore. Bisogna abbandonarsi a lui fermamente, dedicargli il nostro tempo, elevare il nostro cuore e la nostra intelligenza verso l'incomprensibile altezza della maestà divina, fissare il nostro sguardo sulla bellezza del sole di gloria, lasciarci illuminare dall'interno e dall'esterno con la partecipazione e le comunioni che ne derivano, abbandonarci alla gloria indicibile nella misura in cui può essere contemplata ed immaginata, e, infine, dobbiamo riempirci della gloria divina ed inesprimibile, affinché le nostre preoccupazioni inutili non ci facciano condannare subito dopo la scuola insensata».

SECONDA DOMANDA

Hai fatto bene, padre, a trascrivere queste citazioni, tratte dalle opere dei santi, che chiariscono il mio problema. Man mano che si dipanavano le mie incertezze ho ammirato la trasparenza della verità, ma ancora un dubbio si insinua nel mio spirito: dato che, come hai detto, una parola confuta un'altra parola, non potrebbero essere confutate anche le tue parole? Poiché credo che solamente la testimonianza delle opere è inconfutabile, il fatto che anche i santi sostengono le medesime idee mi porta a non temere più nulla di simile. Infatti, colui che non è convinto dai santi, come potrebbe essere lui stesso degno di fede? È lui che lo ha detto agli apostoli, e loro lo hanno detto ai santi che li hanno seguiti: chi rifiuta voi rifiuta me (Lc 10,16), rifiuta cioè la verità stessa. In che modo colui che rifiuta la verità, potrebbe trovare il consenso di quelli che invece la cercano? Per questo motivo, padre, ti prego di ascoltare la mia narrazione su un altro argomento che ho udito proporre da questi uomini che trascorrono la loro vita preoccupandosi della filosofia profana; ti prego, pure, di illuminarmi su quanto vi è di buono a questo riguardo e di aggiungere le opinioni dei santi. Tali sapienti affermano che abbiamo torto a voler rinchiudere il nostro spirito all'interno del corpo, sostenendo che bisogna gettarlo all'esterno in qualsiasi modo. Essi non sono d'accordo e maltrattano i nostri discepoli che insegnano ai principianti a dirigere lo sguardo in loro stessi e ad introdurre, attraverso la respirazione, il loro spirito al proprio interno. D'altronde, proseguono, se lo spirito è incluso nell'anima e forma con essa un tutt'uno, come è possibile introdurlo dall'esterno? Insinuano addirittura che alcuni dei nostri pretendono di introdurre in se stessi la grazia attraverso le narici; ma per quanto mi riguarda queste sono calunnie, perché fra di noi non ho mai inteso nulla di simile. Tu, padre, insegnami: perché impieghiamo tutto il nostro zelo per introdurre il nostro spirito entro noi stessi? Perché pensiamo che non sia male rinchiuderlo nel nostro corpo?

SECONDA RISPOSTA

l. Fratello, ascolta l'apostolo che dice: i no­stri corpi sono il tempio dello Spirito che è in noi (1Cor 6,19), e ancora: noi siamo la casa di Dio (Eb 3,6). Anche Dio dice: abiterò e camminerò con loro e sarò il loro Dio (2Cor 6,16). Se si possiede l'intelletto perché stupirsi che esso abiti in quella che diviene naturalmente la casa di Dio? Dio come ha potuto far abitare sin dall'inizio l'intelletto nel corpo? Ha forse torto anche lui? Sono gli eretici, fratello, che parlano così, sono sempre loro che dicono che il corpo è una cosa cattiva ed una creatura del maligno. Noi pensiamo, piuttosto, che lo spirito cattivo sia nei pensieri corporali, ma che nel corpo non ci sia spirito cattivo, in quanto esso in sé non è malvagio. Per questo motivo quelli che si legano a Dio per tutta la loro vita gridano con Davide: La mia anima ha sete di te e quante volte la mia carne ti ha invocato (Sal 62,1) e: il mio cuore e la mia carne hanno esultato per il Dio vivente (Sal 83,2) e, secondo Isaia, il mio ventre esulterà come una cetra e le mie viscere come un muro di bronzo completamente ricostruito (16, 11), ed anche: dal timore che avevamo di te, o Signore, abbiamo concepito lo Spirito di salvezza nelle nostre viscere (Is 26,18). Abbiamo fiducia in questo Spirito e non cadremo, cadranno invece coloro che parlano solo il linguaggio di questo mondo e sostengono in maniera menzognera che le parole e la vita celeste sono simili a quelle della terra. Se l'apostolo chiama «morto» il corpo, dice infatti: chi mi libererà da questa morte del corpo (Rm 7,24), è perché si riferisce al pensiero materiale e corporale, il quale, paragonato al pensiero spirituale e divino non può che essere chiamato semplicemente corpo, anzi morte del corpo. Egli non accusa la carne, ma il desiderio del peccato sopraggiunto in seguito alla caduta originaria: sono venduto al peccato (Rm 7,14), ma quello che è venduto non è schiavo per natura. E ancora: so che quello che è buono non abita in me, cioè nella mia carne (Rm 7,18). Vedi, dunque, che non è la carne ad essere il male, quanto ciò che abita in essa. Il male non consiste nel fatto che lo spirito abiti il nostro corpo, qualunque sia la legge che governa le nostre membra e che lotta contro la legge dello Spirito (Rm 7,23).

2. Ecco perché ci ribelliamo alla legge del peccato (Rm 8,2), gettandola fuori dal corpo, per introdurvi l'autorità dello spirito. Per mezzo della sua autorità ristabiliamo la legge divina in ogni potenza dell'anima ed in ogni parte conveniente del corpo: ai sensi fissiamo l'oggetto e il limite del loro esercizio e questo agire della legge viene chiamato "temperanza", alla parte passionale dell'anima procuriamo la migliore esistenza possibile, chiamata "amore", e progrediamo pure nella parte razionale rifiutando all'intelletto quello che gli impedisce di innalzarsi a Dio: questa parte della legge la chiamiamo sobrietà. Colui che purifica il suo corpo con la temperanza, colui che attraverso l'amore divino ha fatto delle sue volontà e dei suoi desideri un'occasione di virtù, colui che presenta a Dio uno spirito purificato dalla preghiera, acquisisce e vede in se stesso la grazia promessa a coloro che possiedono il cuore purificato. Questi, allora, potrebbe affermare con san Paolo: Dio ha detto alla luce di brillare nelle tenebre, ha fatto brillare la luce nei nostri cuori, affinché risplenda la conoscenza della gloria di Dio nella persona di Gesù Cristo (2Cor 4,6), noi porti amo questo tesoro in vasi d'argilla (2Cor 4,7). Quindi noi, che come vasi di argilla portiamo la luce del Padre nella persona di Gesù Cristo per conoscere la gloria dello Spirito Santo, veniamo meno alla nobiltà dello spirito se lo guardiamo all'interno del corpo? Quale uomo ragionevole provvisto della grazia divina può giungere a parlare in questo modo?

3. Ogni anima è una realtà unica che possiede molte potenze, si serve del corpo che vive con lei come se fosse un suo strumento, però la potenza dell'anima che chiamiamo intelligenza dove risiede? Nessuno ha mai pensato nelle unghie, nelle palpebre, nelle narici o nelle labbra. Tutti son concordi nel supporla dentro di noi. Alcuni pongono l'intelletto nel cervello come in una specie di acropoli, mentre altri considerano suo mezzo il centro del cuore e quello che dal cuore viene liberato dal soffio animale. Anche noi, per precisa esperienza, sappiamo che la nostra ragione non è né dentro di noi come in un vaso, dato che è incorporale, né fuori di noi, perché è legata a noi, ma si trova nel cuore che è il suo organo adatto. Questo ci viene insegnato non da un uomo, ma dal Creatore stesso quando mostra che: non è quello che entra, ma quello che esce dalla bocca che insudicia l'uomo (Mt 15,11), e quando dice: è dal cuore che escono i cattivi pensieri (Mt 15,19). Il grande Macario, in maniera diversa, afferma: «Il cuore dirige tutto l'organismo e quando la grazia riceve in sorte il cuore, essa regna su tutti i pensieri e su tutte le membra, perché nel cuore si trovano l'intelligenza e tutti i pensieri dell'anima». Il cuore è quindi la sede della ragione e il primo organo carnale razionale. Di conseguenza, quando cerchiamo di vegliare e di indirizzare la nostra ragione ad una rigorosa sobrietà, dobbiamo riunire la nostra intelligenza dispersa all'esterno e riportarla verso il cuore, sede dei nostri pensieri. A proposito Macario prosegue: «È là che si deve guardare se la grazia ha scolpito le leggi dello Spirito». Là dove? Nell'organo che comanda, nel trono della grazia dove si trovano l'intelligenza e tutti í pensieri dell'anima, cioè nel cuore. Vedi come è necessario per coloro che hanno deciso di dedicarsi alla quiete, ricondurre e rinchiudere il loro spirito nell'interno più profondo di questo corpo, che chiamiamo cuore?

4. Se, come dice il salmista, tutta la gloria della figlia del re proviene dall'interno (Sal 44,14), perché cercarla all'esterno? E se Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito che grida: Abba, Padre! (Gal 4,6), come possiamo fare a meno di pregare con lo Spirito nei nostri cuori? E se, secondo il Signore dei profeti e degli apostoli, il regno di Dio è dentro di noi (Lc 17,21) come può far parte del regno dei cieli colui che applica il suo zelo per far uscire il suo spirito all'esterno? Il cuore giusto, dice Salomone, cerca il senso (Pro 27,21) e in un altro passo definisce questo senso intellettuale e divino (Pro 2,5), che è quello che i Padri cercano di raggiungere quando affermano: «Lo spirito intelligente è sicuro di acquistare un senso intellettuale, per questo dobbiamo rinunciare di cercare questo senso dentro e fuori di noi». Vedi, dunque, che se ci si vuole opporre al peccato, acquistare la virtù, trovare la ricompensa, o meglio il senso intellettuale, che è la prova di questa ricompensa, bisogna far tornare lo spirito all'interno di se stessi e del proprio corpo. Far uscire lo spirito al di fuori dei pensieri corporali e fuori del corpo stesso con lo scopo di contemplare i pensieri intelligibili, è il maggior errore degli Elleni, radice e fonte di ogni eresia, invenzione dei demoni e dottrina che genera la sottigliezza derivata da una folle temerarietà. Questo perché coloro che parlano per ispirazione demoniaca sono fuori di se stessi, infatti non comprendono quello che dicono. Noi, non solo mandiamo lo spirito all'interno del corpo e del cuore, ma anche all'interno di se stesso.

5. Parlino pure coloro che affermano che lo spirito non è separato dall'anima, ma interno ad essa e che si chiedono come si possa mandarlo all'interno di se stessi! Sembra che essi non sappiano che l'essenza dello spirito è una cosa e il suo operato un'altra. O meglio, lo sanno, ma si schierano volontariamente con i furbi giocando sugli equivoci. Questa gente non accetta la semplicità della dottrina ma la stuzzicano con la dialettica della contraddizione; secondo Basilio il Grande «rovesciano la forza della verità con le antitesi della falsa conoscenza, aiutandosi con i convincenti argomenti dei sofisti». Infatti devono proprio essere tali gli uomini che, non essendo spirituali, si ritengono degni di giudicare in merito alle cose spirituali e di insegnarle. È forse loro sfuggita la differenza tra lo spirito e l'occhio? Quest'ultimo vede gli altri oggetti, ma non riesce a vedere se stesso. Mentre lo spirito, da una parte, si comporta in conformità alla sua funzione di osservazione esterna, che Dionigi il Grande chiama la linea retta dello spirito, e dall'altra ritorna in se stesso vedendo se stesso: lo stesso padre chiama ciò il suo movimento circolare. Questa è la migliore e la più adatta attività dello spirito e per mezzo suo supera se stesso per unirsi a Dio. L'intelletto che non si espande all'esterno «rientra in se stesso e con se stesso si innalza verso Dio» come in un cammino preordinato. Dionigi, questo vigile contemplatore degli intelligibili, dice pure che questo movimento dello spirito non incorre in alcun errore.

6. Per questo motivo il padre dell'errore desidera che l'uomo abbandoni questo movimento dello spirito e che gli errori commessi servano a realizzare la sua intenzione. Per quanto ne sappiamo, sinora egli non ha trovato un valido collaboratore che, attraverso parole seducenti, riesca a trascinare la gente al suo progetto. Però, ora sembra che abbia trovato più complici, se è vero, come tu dici, che esistono addirittura persone che attraverso i loro trattati vogliono indurre gli uomini, perfino quelli che hanno abbracciato la vita dell'esichia, a tenere, durante la preghiera, lo spirito fuori del corpo. Essi non rispettano nemmeno le limpide parole di Giovanni che grazie ai suoi scritti ha innalzato la Scala che conduce al cielo: «esicasta è colui che cerca di circoscrivere l'incorporeo nel corporeo» lo. Infatti, se l'esicasta non facesse ciò, come potrebbe far entrare all'interno di se stesso Colui che ha rivestito il corpo e che penetra con l'aspetto naturale tutta la materia provvista di forma? Il lato esterno e frammentario di questa materia non è compatibile con l'essenza dell'intelletto, sino a quando la materia non inizi a vivere, assumendo un aspetto di vita adatto per l'unione.

7. Fratello, egli ha dimostrato non solo spiritualmente, ma anche umanamente, che è veramente necessario introdurre e custodire l'intelletto al l'interno del corpo quando si decide di appartenere realmente a se stessi, divenendo un monaco degno di questo nome. Per quando riguarda i principianti si consiglia il metodo dell'inspirazione, affinché essi riescano ad inviare lo spirito al proprio interno. Essi, infatti, quando iniziano vedono che lo spirito fugge loro di continuo. Nella loro inesperienza non si rendono conto che nulla è più difficile e più instabile dello spirito da contemplare. Per questo motivo, alcuni raccomandano di controllare l'andare e il venire del soffio e di trattenerlo un po', vigilando sulla respirazione e di proseguire questo esercizio fino a quando non abbiano fatto progressi per mezzo dell'aiuto divino e non abbiano proibito l'esteriorità al loro spirito. Il risultato ottenuto è frutto spontaneo dell'attenzione dello spirito nella quiete. Tale pratica si può definire perciò sabbatica-spirituale, tendente cioè all'apatia, alla privazione di ogni atto soggetto a mutamento, di percezione sensibile e, in genere, di ogni atto corporeo che dipende da noi medesimi.

8. Questo accade spontaneamente a coloro che hanno progredito nell'esichia; infatti, l'ingresso perfetto dell'anima dentro se stessa avviene per necessità e senza fatica. Per i principianti, invece, questi fenomeni si realizzano con difficoltà. È necessario allora ricorrere alla pazienza, frutto dell'amore. È detto infatti: l'amore sopporta qualsiasi cosa (1 Cor 13,7); essa va dunque praticata con tutte le nostre possibilità proprio per giungere all'amore. Tutti quelli che hanno accumulato esperienza ridono quando vengono contraddetti dagli inesperti; il loro maestro non è la parola, ma la fatica, ed è essa che arricchisce la loro esperienza recando frutti utili e tralasciando gli sterili discorsi dei rissosi e degli accusatori. Uno dei più grandi dottori afferma a questo proposito: «In seguito alla trasgressione l'uomo interiore si adatta alle forme esteriori». Colui che cerca di far tornare in se stesso il suo spirito indirizzandolo non al movimento rettilineo, ma a quello circolare, perché non dovrebbe concentrarsi sul petto o sull'ombelico, usandoli come punto d'appoggio, se ne può trarre vantaggio? In questo modo non solo egli si raccoglierà su se stesso, per quanto gli sarà possibile, ma, grazie alla posizione del suo corpo, farà anche ritornare all'interno del cuore la potenza dello spirito che dalla vita esce verso l'esterno. La potenza della bestia intelligibile ha la sua sede nel centro del ventre: infatti proprio in quella parte del corpo la legge del peccato esercita il suo dominio. Perché, dunque, non far partire proprio da qui la legge dell'intelligenza, armata dalla preghiera, affinché sconfigga lo spirito malvagio e gli impedisca di dimorarvi con sette spiriti peggiori (Lc 11,26)?

9. Attento a te stesso (Dt 15,9), dice Mosè: a te, cioè nella tua interezza: non ad una parte di te stesso trascurando il resto. In che modo? Con lo spirito, evidentemente, poiché non è possibile custodire interamente la propria persona con nessun organo corporeo. Perciò messa questa custodia nella tua anima vedrai che essa ti libererà dalle passioni malvagie del corpo e dell'anima senza fatica. Confida in questa custodia e in questa attenzione, conserva il tuo controllo e prendi cura di te, veglia e custodisciti. Solo così sottometterai allo spirito la carne ribelle e nel tuo cuore non dimorerà mai più una parola ingannevole (Dt 15,9). Se lo spirito di colui che domina, il capo cioè degli spiriti malvagi e delle cattive passioni, si eleva contro di te, non abbandonare il campo per nessun motivo, come insegna l'Ecclesiaste (10,4). Non lasciare, cioè, nessuna parte della tua anima e nessun membro del tuo corpo senza custodia. Così diverrai inaccessibile per gli spiriti che ti attaccano e per questo ti presenterai a Colui che scruta i cuori e i reni (Sal 7,10 e Ap 2,23) con sicurezza, senza bisogno che Egli ti osservi, perché li avrai scrutati da solo. Per questo san Paolo afferma: se giudicheremo noi stessi non saremo giudicati (1 Cor 11,31). Avrai la felice esperienza di Davide e tutto solo ti rivolgerai a Dio dicendo: Grazie a te le tenebre non saranno più oscure e la notte sarà per me chiara come il giorno, perché hai preso possesso dei miei reni (Sal 138,12-13). Davide in questo verso vuole dire: «Non solo hai fatto tuoi tutti i desideri della mia anima, ma anche se rimanesse nel mio corpo un solo residuo di questi, verrebbe indirizzato verso la sua origine, poiché da quest'origine è legato a te e con te si è unito». Come coloro i quali si abbandonano ai piaceri sensibili e corruttibili divengono carne ed esauriscono completamente il desiderio della loro anima impedendo così allo Spirito di Dio di dimorare in loro (Gn 6,4), così coloro che hanno innalzato il loro spirito verso Dio ed esaltato la loro anima con la passione di Dio, vedono la loro carne trasformarsi, innalzarsi, condividere la comunione divina e divenire anch'essa un luogo e una casa di Dio, perché non è più sede di inimicizie contro di lui non possedendo più desideri contrari allo Spirito.

10. Fra la carne e l'intelletto qual è il luogo più adatto per lo spirito? Certamente il corpo, abitato però dalla legge della vita; e perché questa vi permanga, non bisogna mai distogliere la nostra attenzione dal traguardo finale. Come bisogna fare per captarla e possederla? Questa volta invece di nominare i principianti, considererò i perfetti, coloro che sono riusciti con la pratica della preghiera ad attirare la benevolenza di Dio. Alcuni di loro sono vissuti dopo Cristo, altri hanno preceduto la sua venuta. Lo stesso Elia, il più perfetto di quelli che hanno visto Dio, dopo aver appoggiato la testa sulle ginocchia, raccolse il suo spirito in se stesso ponendo termine ad un'aridità che si protraeva da anni. Al contrario, fratello, le persone di cui parli, sembra che soffrano della malattia dei farisei. Essi non vogliono custodire e purificare l'interno del vaso, cioè il cuore, disprezzano la tradizione dei Padri, cercando di essere presenti in ogni cosa come nuovi maestri della legge. Rigettano la forma di preghiera che il Signore ha giustificato al pubblicano e suggeriscono di non imitare i nostri in questa attività spirituale. Infatti, il Signore nei Vangeli afferma: non ardiva alzare gli occhi verso il cielo (Lc 18,13). Quelli che trascorrono la loro vita in meditazione cercano di imitare lui, mentre questa gente li chiama «omphalopsychoi» per calunniarli. Chi, di quest'ultimi, ha mai asserito che l'anima si trova nell'ombelico?

11. Queste persone si dedicano alla calunnia in maniera aperta e oltraggiosa contro uomini degni di lode, con la pretesa di correggerne gli errori. Non è la vita esicasta e la verità che li stimola a scrivere, ma la vanità; ciò che li fa agire non è il desiderio di raggiungere la sobrietà, ma quello di allontanarsene. Essi si sforzano con tutti i mezzi di gettare ombre sull'opera e su coloro che si consacrano all'esichia nel modo conveniente, trovandovi come pretesto d'accusa le corrispondenti pratiche. Simili persone sono capaci di tacciare di «coliopsichia» colui che ha affermato: la legge di Dio è dentro le mie viscere (Sal 39,8) ed anche colui che grida verso Dio: il mio ventre suonerà come una cetra e le mie viscere come un muro di bronzo nuovo (Is 16,11). Essi calunnierebbero indistintamente, senza alcuna discriminazione, tutti quelli che usano simboli corporei per raffigurare, designare e ricercare le cose intelligibili, divine e spirituali. Però, i santi non soffrono minimamente delle loro accuse. Essi, al contrario, riceveranno lodi e corone ancor più numerose, mentre i filosofi rimarranno al di fuori dei sacri veli e non potranno contemplare nemmeno le ombre di verità. È da temere grandemente per loro la condanna eterna, poiché si sono allontanati dai santi, rimanendo vicini alle parole.

12. Tu certamente conosci la Vita di Simeone il Nuovo Teologo, essa è quasi tutta un miracolo, poiché Dio l'ha glorificato con doni soprannaturali. Tu che conosci i suoi scritti sai che non vi sarebbe nulla di errato se venissero chiamati scritti di vita. Conosci pure san Niceforo che ha trascorso lunghi anni nel deserto e nell'esichia e che in seguito dimorò nei luoghi più solitari della santa Montagna senza concedersi tregua. Egli ci ha tramandato la pratica della sobrietà, dopo essersi nutrito negli scritti dei Padri. Questi due santi insegnano chiaramente, a coloro che hanno scelto questa strada, le pratiche che alcuni, come riferisci, combattono. Ma perché limitarsi ai santi del passato? Alcuni uomini che hanno testimoniato poco tempo prima di noi e che sono stati riconosciuti posseduti dallo Spirito Santo, ci hanno tramandato simili cose con la loro bocca; ad esempio, il più certo dei contemplatori dei veri misteri divini del nostro tempo è Teolepto, veramente ispirato da Dio, vescovo di Filadelfia, luogo da dove illuminò il mondo come un candelabro. E così Atanasio, il quale per lunghi anni ha illuminato il trono patriarcale, Nilo di origine italica, imitatore del grande Nilo, Seliote ed Elia, non inferiori al primo, e Gabriele ed Atanasio, ritenuti degni di carisma profetico. È di costoro che voglio parlare e di molti altri esistiti prima di loro: essi incoraggiano ed esortano quelli che desiderano custodire questa tradizione, mentre í falsi maestri dell'esichia vogliono ammonire non con la loro esperienza, ma con le chiacchiere, rifiutando, deformando e disprezzando la tradizione, senza recare alcuna utilità a quelli che li ascoltano. Con alcuni di questi santi ab­biamo conversato di persona e alcuni sono stati anche nostri maestri. Dovremmo, dunque, non tener conto di coloro che hanno ricevuto l'insegnamento dall'esperienza e dalla grazia per piegarci, invece, davanti a coloro che si sono messi ad insegnare con orgoglio cercando polemiche? Questo non sarà mai! Allontanati, perciò, da questa gente e ritorna in te stesso ripetendo con Davide: anima mia, benedici al Signore e tutto quello che è in me lodi al suo santo nome (Sal 102,1). Lasciati umilmente convincere dai Padri e ascoltali quando consigliano di far rientrare lo spirito nell'interiorità.

TERZA DOMANDA

Ora, padre, le cose mi appaiono più chiaramente: coloro che scrivono contro gli esicasti possiedono solo la conoscenza che deriva dalle opere e ignorano quella che proviene dall'esperienza di vita, la sola certa e non confutabile; ma, peggio ancora, essi si rifiutano in maniera categorica di ascoltare le parole dei Padri: si riempiono di vano orgoglio e si interessano di quello che non hanno veduto con lo spirito della loro carne (Col 2,18). Si sono allontanati tanto dalla giusta via che, sebbene concordi nel calunniare i santi apertamente, non riescono a trovare un'armonia tra di loro. Serva d'esempio la teoria dell'illuminazione: per questi tutte le illuminazioni verificatesi sotto l'antica legge, fra i Giudei e i profeti di questo popolo, erano illuminazioni simboliche, mentre quanto è accaduto sul monte Tabor durante la trasfigurazione del Salvatore, e tutte le altre illuminazioni successive sono ritenuti fenomeni puramente sensibili, accessibili ai sensi. Solo la conoscenza supera i sensi, poiché costituisce il fine ultimo della contemplazione. Ora, brevemente, ti riporterò quanto è stato udito presso di loro. Premetto di non aver mai sentito simili cose e di non essere stato affatto convinto dal loro ragionamento. Essi hanno mentito se affermavano di seguire la scuola degli esicasti; piuttosto hanno appreso i loro insegnamenti da maestri che la criticavano; mentono ancora quando scrivono, a proposito degli esicasti, che essi consigliano di tralasciare le Sacre Scritture, quasi fossero riprovevoli, per legarsi solamente alla preghiera e che attraverso questa gli spiriti maligni fuggono dall'anima dell'orante, il quale, infiammato dai sensi, salterebbe pieno di gioia, ma senza per questo progredire spiritualmente. Sempre secondo questi filosofi gli esicasti vedrebbero delle luci sensibili e penserebbero che il segno delle cose divine consista in un leggero biancore, mentre quello delle cattive in un giallo intenso. Questi disputanti rivolgono numerosi rimproveri ai loro avversari. Nei loro scritti imitano apertamente la tortuosità e la perfidia del serpente: fanno numerose circonvoluzioni, ostentano molta astuzia ed interpretano le loro parole in maniera contraddittoria e diversa. Non possiedono la fermezza e la semplicità della verità, cadono facilmente in contraddizione e, vergognosi della sconfessione della loro coscienza come Adamo, cercano di nascondersi nella difficoltà, nell'enigma e nell'ambiguità, utilizzando i differenti significati delle parole. Ti supplico, padre, di chiarire la nostra posizione su quanto essi affermano.

TERZA RISPOSTA

1. Non soltanto i vizi crescono accanto alla virtù, ma anche le parole empie a volte sono così vicine alle parole devote che basta un'aggiunta, o una minima omissione, per trasformarle con facilità le une nelle altre, mutando totalmente il loro significato. Ecco perché ogni falsa opinione è mascherata di verità, così da ingannare quelli che non si accorgono della manomissione. Questo mezzo pericoloso viene usato dal demone maligno, abilissimo nell'ordire inganni. Ponendo la menzogna accanto alla verità, egli inventò un doppio inganno: dato che questa minima distanza sfugge ai più, si può facilmente prendere la menzogna per verità e questa per menzogna. In entrambi i casi ci si allontana completamente dalla verità. I seguaci di Ario opposero alla fede di Nicea quella sanzionata nella città di Niké, comportandosi indegnamente con colui che insegnava con esattezza la parola di verità (2 Tm 2,15). Ario si servì di questo inganno e poco mancò che comunicasse e concelebrasse con coloro che l'avevano ripudiato di fronte alla chiesa. Il grande Alessandro, però, svelato l'inganno, senza per questo rifiutarlo apertamente, ricorse a Dio con la preghiera e per mezzo suo quest'esecrabile eretico ebbe una morte odiosa accompagnata da insensatezza.

2. Fratello, di questo inganno si servono abbondantemente quelli di cui mi hai parlato. Infatti, ai principianti dell'esichia si consiglia di non fare lunghe letture per dedicarsi principalmente alla preghiera monologica sino a quando non posseggono la preghiera ininterrotta, la quale diviene lo stato del loro intelletto, anche se il corpo si dedica ad altre occupazioni. Si consiglia loro san Diadoco, Filemone il Grande, Nilo così ricco di cose divine, san Giovanni Climaco e molti padri vivi ancor oggi. Questa lettura non è inutile e malvagia. Aggiungendo quest'ultimo termine i filosofi hanno reso nocivi i consigli dei Padri. D'altronde sappiamo che tutti i santi hanno dimostrato con l'azione e con la parola che la preghiera scaccia gli spiriti maligni e le passioni, però nessuno di loro insegna che gli spiriti maligni compenetrano la nostra essenza. Quelli di cui parli hanno fatto apparire come detestabile la meta della nostra indagine. Che il cuore balzi palpitando per l'entusiasmo dell'amore e del bene, lo afferma anche il grande Basilio e il grande Atanasio vede in questo un segno della grazia. Il Climaco insegna chiaramente che quando si incontra Dio con lo spirito puro, si ritorna come infiammati dalla preghiera. Senza esperienza e senza la presenza della luce quando si prega, senza la dolcezza che essa procura all'anima, si vive una preghiera corporale e giudaica, così pensa Climaco. Altri indicano con chiarezza, sant'Isacco ad esempio, che un riflesso di gioia è visibile in coloro che pregano, non solo per effetto della preghiera, ma anche per la pratica della salmodia cosciente. Lo scopo di tutte queste pratiche è di rendere l'anima razionale. Quelli di cui parli lo hanno rifiutato, rendendo in questo modo degno di biasimo quello che è degno di lode. Avendo stracciato le inoppugnabili testimonianze della sacra e divina illuminazione, si sono nascosti dietro piccoli «nulla» favorevoli alle loro accuse ed hanno indotto gli sprovveduti a pensare che il divino sia in realtà demoniaco. Sono particolarmente convinti che ciò che è custodito nelle tenebre eterne (2Pt 2,4.17) elabori luce, anche se prodotta in maniera ingannevole. Non ammettono, infine, che Dio, superando ogni illuminazione e ogni luce, conferendo la luce intelligibile ad ogni natura umana capace di riceverla adeguatamente ai suoi meriti, illumini dal punto di vista intellettivo.

3. Penso che la conoscenza di cui parlano, da quanto mi dici, rappresenti per loro l'unica forma di illuminazione intelligibile e la chiamano luce nel la misura in cui viene trasmessa dalla luce divina. Dio ha detto: la luce brillerà in seno alle tenebre, egli ha fatto brillare nei nostri cuori la luce per far risplendere la conoscenza della gloria di Dio (2 Cor 4,6) e pure Dionigi il Grande afferma che la «presenza della luce divina unisce gli illuminati riunendoli nell'unica vera conoscenza». Vedi che la luce della conoscenza, trasmessa dalla grazia, ci libera dalla dispersione dell'ignoranza? Perciò Dionigi ha chiamato questa luce «intelligibile», mentre Macario, preoccupandosi di quelli che associano la luce della grazia ad una conoscenza, l'ha chiamata «intellettuale». «Dal suo agire constaterai se la luce intellettuale che ha illuminato la tua anima proviene da Dio o da Satana». Nello stesso scritto, dopo aver chiamato «immortalità» la gloria apparsa sul volto di Mosè, benché abbia illuminato un volto mortale, egli spiega in quale maniera essa appaia all'anima quando si ama veramente Dio. Egli afferma: «come gli occhi sensibili vedono un sole sensibile, anche gli uomini, con gli occhi dell'anima, vedono la luce intellettuale che si manifesterà e si diffonderà sui corpi il giorno della risurrezione per rendere anch'essi risplendenti di luce eterna». Non si può mai sostenere che la luce della conoscenza sia esclusivamente intellettuale, perché la luce di cui ho parlato, invece, solo qualche volta agisce intellettualmente: l'intelligenza la contempla come intelligibile con un senso «intellettuale», essa agisce nelle anime razionali, liberandole dall'ignoranza propria del loro stato per condurla dalla molteplicità all'unità. Per questo motivo il cantore dei Nomi divini encomiando i nomi luminosi del Bene, insegna che «il Bene è chiamato luce intelligibile, perché riempie di essa l'intelligenza sovraceleste e perché scaccia l'ignoranza e l'errore da ogni anima in cui penetra ». La conoscenza che segue l'ignoranza è una cosa, mentre la luce intelligibile, che fa vedere questa conoscenza, è un'altra. Per questo la luce intelligibile è chiaramente presente nell'«intelligenza sovraceleste» perché ha sublimato se stessa. In qual modo, se non attraverso una metafora, possiamo chiamare la conoscenza luce sovraceleste che supera l'intelligenza? Solamente l'anima razionale può giungere a purificarsi dall'ignoranza del pro­prio stato, chiamato da questo grande dottore «ignoranza» e «devianza».

4. Non solo la mente degli angeli, ma anche quella dell'uomo supera se stessa e attraverso l'impassibilità acquista lo stato angelico e la luce, divenendo così degna di una visione soprannaturale di Dio, senza vederne l'essenza, ma la rivelazione come a lui si conviene. Dio non è solamente al di sopra della conoscenza, è anche inconoscibilità. La sua stessa rivelazione è un mistero, il più divino e stupefacente. Anche se le sue visioni sono simboliche, nella loro trascendenza, sono inaccessibili. Infatti, esse seguono una legge che non appartiene né alla natura divina né a quella umana, anzi si potrebbe dire che sono in noi e al di sopra di noi, tanto che non ci sono nomi per esprimerle. Questo lo ha dimostrato Colui che alla domanda di Manoè (Gdc 13,17-18): Qual è il tuo nome? Rispose: è prodigioso. Tuttavia anche se la visione è al di sopra di ogni negazione, la parola che la dovrebbe esprimere è inferiore alla via negativa, dato che essa procede sempre attraverso esempi e analogie. Per questo, infatti, alle parole impiegate si aggiunge spesso un «come», per spiegare solo una similitudine, dato che la visione è indicibile, superando la parola stessa.

5. Quando gli uomini santi contemplano dentro loro vedono la veste della loro deificazione, poiché attraverso la grazia del Verbo la loro intelligenza viene glorificata e riempita di un frammento meraviglioso della divina benevolenza, nel medesimo modo in cui la divinità del Verbo ha glorificato con la luce divina il corpo di Cristo sul monte Tabor. La gloria che il Padre gli ha donato, la posseggono pure i suoi seguaci: volle che fossero accanto a lui e contemplassero la sua gloria (G 17,24). Tutto questo come può essere realizzato con il corpo visto che dopo la sua ascensione al cielo Cristo non è più con noi? Ciò deve compiersi, invece, da un punto di vista intellettuale, quando l'anima cioè, divenuta sovraceleste, si unisce in maniera visibile e misteriosa a Colui che per noi ha oltrepassato i cieli e insieme contempla le visioni spirituali, ripiena della conoscenza immateriale della luce indicibile. Questi che l'anima contempla non sono più simboli sacri, percepibili dai sensi: essi sono abbelliti dalla Bellezza originaria, causa della bellezza stessa, resa tale dallo splendore divino. Secondo le spiegazioni dell'autore della Gerarchia (1,4), alla stessa maniera anche le sublimi schiere degli spiriti sovramondani non solo acquisiscono la partecipazione e la contemplazione della gloria trinitaria, ma anche quella della luce di Gesù, come venne manifestata ai suoi discepoli sul monte Tabor. Degni di questa visione ricevono un'iniziazione, poiché questa luce è anche essa deificante. Per questo Macario, beato di nome e di fatto, chiama questa luce «nutrimento degli esseri sovracelesti». Ecco cosa afferma un altro dei teologi: «partecipando immaterialmente a questa luce, ogni ordine intelligibile degli esseri sovracelesti ci mostra chiaramente l'amore che il Verbo nutre per noi». Anche il grande Paolo quando incontrò in Cristo le visioni invisibili e sovracelesti, venne rapito, perché divenne sovraceleste senza per questo che la sua mente abbia oltrepassato i cieli materiali, facendogli mutare luogo. Questo rapimento, conosciuto solamente da quelli che l'hanno sperimentato, evidenzia un altro mistero. A proposito di questo argomento non è necessario ripetere quello che hanno detto i Padri che l'hanno sperimentato, per non esporli alla calunnia. Però quello che è stato affermato può bastare per mostrare agli scettici che esiste un'illuminazione intellettuale, visibile ai puri di cuore, completamente differente dalla conoscenza, che anzi comprende.

6. I filosofi affermano, come tu dici, che le illuminazioni verificatesi sotto l'antica legge sono simboliche, sostenendo così che esiste una sacra illuminazione di cui queste sono un simbolo. San Nilo insegna la stessa cosa quando dice: «Dopo che l'intelletto avrà rifiutato il vecchio uomo e avrà rivestito quello nato dalla grazia, allora durante la preghiera diventerà come uno zaffiro di colore celeste; la Scrittura chiama questo luogo di Dio che gli antichi avevano visto invece ai piedi del monte Sinai». La stessa cosa viene affermata da Isacco, quando scrive: «L'intelletto, con l'aiuto della grazia, nella preghiera osserva la sua purezza che è simile al colore sovraceleste, chiamato dal popolo di Israele luogo di Dio, quando apparve loro sulla montagna». Vedi che le illuminazioni sono simboli di quello che si realizza nei cuori puri? Giovanni che aveva la lingua e il pensiero d'oro riporta le parole dell'Apostolo: la luce brillerà nelle tenebre, perché Dio ha fatto brillare la luce nei nostri cuori (2Cor 4,6). Secondo Giovanni la gloria di Mosè risplende in noi maggiormente, poiché la stessa luce che ha brillato sul suo volto, brilla ora nei nostri cuori. Giovanni poi continua: «all'inizio della creazione, Dio ha detto, vi sia la luce, e la luce fu, ma ora egli non lo dice perché è divenuto lui stesso la nostra luce». Perciò la luce dell'inizio della creazione o quella che ha illuminato il volto di Mosè dimostrava una conoscenza ancora limitata, mentre l'illuminazione che si produce nei nostri cuori è superiore, poiché è accresciuta. Dato che quella illuminazione non era conoscenza, ma splendore sul viso, neanche l'illuminazione che si produce in noi lo è, poiché è splendore dell'anima che si verifica nella mente purificata. Bisogna, quindi, affermare che quella luce soggetta agli occhi sensibili è sensibile, mentre questa soggetta agli occhi spirituali è spirituale e agisce dentro di noi.

7. Ma nemmeno quella luce, apparsa sul volto del profeta, era luce semplicemente sensibile; infatti, secondo Macario, oggi i santi ricevono nella loro anima la gloria apparsa sul volto di Mosè. Il padre la chiama gloria di Cristo, considerandola al di sopra dei sensi, sebbene la sua manifestazione sia sensibilmente accessibile; riporta le parole dell'apostolo (2 Cor 3,18) e scrive: «Noi tutti riflettiamo con il volto scoperto la gloria del Signore, come in uno specchio, cioè la sua luce spirituale, nella stessa immagine siamo trasfigurati di gloria in gloria, con un aumento di luce che è in noi e che per l'effetto della luce divina, diventa sempre più splendente». Così dice pure san Diadoco: «Non c'è dubbio che quando lo spirito percepisce con frequenza la luce divina diviene interamente trasparente e vede la sovrabbondanza della propria luminosità, poiché quando la potenza dell'anima domina le passioni diventa questa luce stessa». Cosa afferma il divino Massimo? «Una mente umana non avrebbe potuto elevarsi per ricevere lo splendore divino, se Dio stesso non l'avesse innalzata e illuminata con i suoi raggi divini» . Cosa dice anche il famoso Nilo? «Basilio di Cappadocia, colonna della verità, dice che la conoscenza degli uomini aumenta con lo studio e la pratica, mentre quella di Dio è giustizia e misericordia; la prima può essere acquisita anche da coloro che vivono nelle passioni, mentre la seconda viene data a coloro che le hanno superate e che quando pregano vedono lo splendore del proprio spirito che li illumina». Comprendi, dunque, fratello, che lo spirito privo di passioni quando prega vede se stesso come una luce e splende di luce divina? Porgi, dunque, ora un orecchio docile ed ascolta di nuovo il veramente felice Macario, chiamato dal divino Nilo «vaso di elezione», che scrive nei capitoli parafrasati da Metafraste: «L'illuminazione perfetta dello Spirito non è solamente una specie di rivelazione di pensieri, ma una sicura e continua illuminazione delle anime di luce ipostatica. Tutto questo è confermato pure dalle Scritture: Colui che ha detto: la luce brillerà nelle tenebre, fa brillare la sua luce nei nostri cuori (2 Cor 4,6); illumina i miei occhi perché non mi addormenti e muoia (Sal 12,3). Manda la tua luce e la tua verità e verrò condotto sulla tua santa montagna (Sal 42,3); la luce del tuo volto è impressa su di noi (Sal 4,6), per accennarne solo qualcuno». Metafraste ha definito la luce Ipostatica per chiudere la bocca a quelli che considerano la conoscenza come illuminazione e che seminano, così, confusione nella mente di molti, ma prima di tutto nella loro, attribuendo falsamente alla conoscenza quello che si dovrebbe dire della luce. Come ho detto sopra in maniera traslata, so, invece, che anche la conoscenza viene chiamata luce, poiché deriva da quest'ultima.

8. Ecco perché nessuno ha chiamato luce la conoscenza che deriva dai sensi, anche se qualche volta conferisce un sapere. Tale attributo viene dato solamente ad una conoscenza proveniente dallo spirito. Infatti, noi non vediamo alcun essere fornito di ragione che non sia una luce intellettuale. Gli angeli sono una specie di fuoco immateriale e incorporeo, e questo che cos'è se non luce intellettuale? Lo spirito che osserva se stesso vede luce: questa che vede che cos'è se non luce intellettuale? Dio stesso, che supera ogni conoscenza dell'Intelletto e che trascende ogni essenza in maniera sovraessenziale, è chiamato dai santi teologi «fuoco». In se stesso egli possiede questo carattere misterioso e indivisibile, come fosse, quando non vi sia materia che riceva l'apparizione, un'immagine oscura di quello che il fuoco è fra le cose sensibili; però quando si impossessa di una materia che gli si addice, come ad esempio ogni natura intelligibile purificata, priva cioè di ogni malvagità, egli apparirà come una luce intelligibile, come abbiamo dimostrato e dimostreremo oltre quando argomenteremo dei santi che subiscono e contemplano la luminosità di Dio.

9. Come il fuoco nascosto dalla materia opaca riscalda, ma non dà luce, così lo spirito quando è oscurato dalle malvagie passioni può procurarsi la conoscenza, ma non la luce. Lo spirito visto dallo Spirito è una luce, ma è anche un organo di contemplazione, una specie di occhio dell'anima; per questo «lo spirito unito all'anima è un organo visivo dell'anima stessa». Come l'occhio sensibile non può agire senza la luce esterna, così lo spirito non può manifestarsi come senso intelligibile ed agire senza la luce divina che lo illumina. Come l'occhio che agisce diventa egli stesso luce, confondendosi con essa, così lo spirito quando mette in movimento la sua attività e diviene esso stesso luce che lo contempla chiaramente non solo al di là delle sensazioni corporee, ma anche oltre quello che è conoscibile e che oltrepassa tutti gli esseri. È Dio che vedono i puri di cuore, come afferma la beatitudine del Signore che non può ingannare (Mt 5,8) e Dio è luce (Gv 1,5), come insegna la più teologica formula di Giovanni, figlio del tuono. Dio stabilisce la sua dimora negli uomini e si manifesta a coloro che lo amano. Egli si manifesta alla mente purificata come un'immagine nello specchio, ossia rimanendo in sé invisibile, poiché è impossibile vedere nello stesso tempo l'immagine riflessa e l'oggetto che lo specchio riflette.

10. Se Dio appare in questo modo a quelli che sono stati purificati dall'amore, però è detto pure, che un giorno apparirà loro faccia a faccia (1 Cor 13,12). Quelli che non credono che Dio appare come una luce, perché non comprendono e non vedono le cose divine, quelli che ritengono che solamente la ragione possa contemplarlo, sono come dei ciechi che ricevendo solo il calore del sole non credono a quelli che vedono anche la sua luminosità. E se questi ciechi volessero insegnare che il sole, il più luminoso delle cose sensibili, non è una luce, farebbero ridere coloro che contemplano il suo splendore. La gente di cui parli è in una situazione analoga in rapporto al Sole di giustizia (Mal 4,2) elevato sopra tutto: si lamenteranno della loro sorte non solo per coloro che possiedono la vista intellettuale, ma anche per quelli che credono in chi vedono. Mentre Dio, per sovrabbondanza di amore, trascende ogni cosa e rimane incomprensibile e indicibile, pur consentendo la partecipazione della nostra anima al divino invisibilmente visibile nella sua superessenziale ed inseparabile potenza, questa gente non sa rispondere con l'amore all'amore visibile e intelligibile in sé. O meglio ancora, i filosofi non vogliono seguire i santi per avere dei compagni quando, come afferma Gregorio il Teologo, «vedranno come fuoco Colui che non hanno riconosciuto come luce». Questo fuoco è pieno di tenebre e si identifica con le tenebre che ci minacciano: esso è preparato per il diavolo e per i suoi angeli, come dice il Signore (Mt 25,41). Esso non è semplicemente sensibile, è stato predisposto infatti anche per gli angeli ribelli che sono privi di sensibilità, né semplicemente ignoranza poiché quelli che si lasciano convincere dagli eredi delle tenebre non ignoreranno Dio come adesso, bensì lo conosceranno meglio: ogni carne, è detto, confesserà che Gesù Cristo è il Signore a gloria di Dio Padre (Fil 2,11). Nemmeno quella luce, propriamente parlando, è sensibile e neanche conoscenza, dato che le tenebre che le si oppongono non sono ignoranza. Essa è fonte di conoscenza mistica, i suoi frutti perciò, per chi è puro di cuore, non daranno una conoscenza, ma una conoscenza analogica. Essi sono una luce intelligibile e intellettuale o, meglio ancora, spirituale; trascendono ogni forma di conoscenza ed ogni virtù e procurano ai cristiani la perfezione che è loro possibile conquistare sulla terra. Non sono, infine, un'imitazione o un frutto dell'attività razionale, ma l'effetto di una rivelazione e della grazia dello Spirito.

11. Per questo il grande Macario, sostenuto dalla testimonianza di Simeone, il suo interprete più autorevole, insegna: «il divino apostolo Paolo ha dimostrato, in modo puntuale e chiaro, il mistero perfetto del cristianesimo: un frammento di luce celeste che si manifesta in una rivelazione grazie alla potenza dello Spirito. Questo va detto perché non si creda che l'illuminazione dello Spirito si produca solo attraverso una conoscenza concettuale e perché non si rischi e non ci si inganni sul mistero della grazia a causa dell'ignoranza, o per noncuranza. Per questo egli ha descritto, come prova valida per tutti, l'esempio di Mosè circondato dalla gloria dello Spirito: se ciò che è mutevole è degno di gloria, ancor più lo è ciò che è immutabile (2 Cor 3,11). L'apostolo parlava di mutabilità perché la gloria circondava il corpo mortale di Mosè, oggi però egli ha dimostrato che la gloria immortale dello Spirito, apparsa nella rivelazione e oggi posta sul volto immortale dell'uomo interiore, risplende per coloro che sono degni di riceverla in maniera stabile e costante. Egli dice: tutti, cioè quelli nati dallo Spirito, secondo una perfetta fede, tutti col volto scoperto contempliamo la gloria del Signore, trasfigurando di gloria in gloria nella sua immagine attraverso lo Spirito del Signore (2 Cor 3,18). Col volto scoperto significa col volto dell'anima, perché l'apostolo afferma che quando ci si converte viene tolto il velo (2 Cor 3,16) e il Signore è lo Spirito (Cor 3,18). Con queste parole egli ha dimostrato con chiarezza che l'anima era ricoperta da un velo tenebroso, un velo che si era esteso in seno all'umanità a causa della caduta di Adamo. Oggi, però, con l'illuminazione dello Spirito, questo velo viene tolto dalle anime degne che credono con fermezza. Questo, infatti, è il motivo per cui Cristo è venuto al mondo».

12. Vedi, fratello, come le antiche illuminazioni sensibili, prodottesi sotto l'antica legge, hanno prefigurato l'illuminazione dello Spirito che avviene nelle anime di coloro che con verità e certezza credono in Cristo? Bisognerebbe che quelli che ne parlano come se fossero apparizioni sensibili e simboliche venissero condotti, attraverso di esse, alla vera fede e alla ricerca di Cristo! Al contrario, loro cercano con tutti i mezzi di condurre alla miscredenza coloro che vi credono e se fosse possibile pure quelli che hanno ricevuto o posseggono visibilmente la grazia e che per questo hanno acquisito una conoscenza infallibile. Essi hanno la sfrontatezza e la demenza di voler imporre una nuova educazione a quelli che Dio ha iniziato ai misteri attraverso le sue apparizioni e le sue energie mistiche. Loro che non si lasciano smuovere nemmeno dal grande Paolo che dice: L'uomo spirituale giudica tutto e non viene giudicato da nessuno, poiché ha lo spirito di Cristo, e chi ha conosciuto lo spirito del Signore da poterlo istruire? (1 Cor 2,15-16). Chi può rendere credibili le cose dello Spirito esaminandole con il ragionamento? Infatti, colui che si fida dei propri ragionamenti e dei problemi che pongono, che crede di trovare la verità attraverso le distinzioni, i sillogismi e le analisi logiche non può, nella maniera più assoluta, né conoscere, né credere alle realtà dell'uomo spirituale. Un uomo simile è un uomo psichico e, come afferma san Paolo, l'uomo psichico non comprende le realtà dello Spirito (1 Cor 2,14). Come farebbe un ignorante privo di fede dimostrare con la logica cose degne di fede? Infatti, colui che insegna la sobrietà senza praticare l'esichia e la sobrietà dello spirito, senza alcuna esperienza delle cose divine, che si realizzano spiritualmente e misteriosamente, conformandosi ai propri ragionamenti e cercando di dimostrare con parole il Bene, che al contrario trascende ogni parola, ebbene costui è caduto nell'ultima delle follie ed è stato reso folle dalla stessa saggezza. Questo perché hanno pensato di poter osservare con la conoscenza naturale il Soprannaturale, e di poter esaminare e dimostrare con la ragione naturale e con una filosofia carnale le profondità di Dio, conosciute solo dallo Spirito, e i doni dello Spirito che sono noti agli uomini spirituali ripieni dello Spirito di Cristo. Con questa insensatezza giungerà persino a divenire nemico di Dio, come Beliar, opponendosi a coloro che hanno ricevuto lo Spirito che proviene da Dio, per poter conoscere quello che Dio ha donato con la sua grazia (1 Cor 2,12); anzi ci farà eredi, del guai coloro, come dice infatti il profeta, che danno da bere al fratello una bevanda torbida (Ab 2,15).

13. Quelli che possono giudicare tutto, lo spirituale giudica infatti tutto (1 Cor 2,15), dovrebbero sottomettere di autorità coloro che non sono in grado di giudicare, affinché questo giudizio permetta loro di conoscere con certezza loro stessi. Invece questa gente giudica e corregge gli spirituali, che nessuno può giudicare dai loro atti e dai loro discepoli. Infatti, asseriscono che nessuno può essere perfetto e santo se non possiede una vera conoscenza degli esseri, e che non è possibile acquisirla senza il metodo della distinzione, del ragionamento e dell'analisi. Colui che dovrebbe godere della perfezione e della santità, perciò, dovrebbe ricevere l'insegnamento del sapere profano secondo il metodo della distinzione, del sillogismo e dell'analisi: questa è la conclusione a cui vogliono condurci. Cercano, così, di ripristinare quella saggezza che è già stata abolita per sempre. Se, con umiltà, venissero presso coloro che possono giudicare tutto, ad apprendere la verità, si accorgerebbero che questa dottrina proviene dal pensiero ellenico e che si identifica con l'eresia degli stoici e dei pitagorici, i quali sostengono che la conoscenza pratica, derivata dalle scienze, è il fine della contemplazione. Per quanto ci riguarda, crediamo che la retta credenza non consista in parole e in sillogismi, bensì in opere e in esperienza. Tale credenza non solo è vera, ma è anche certa ed immutabile. Si dice che ogni parola ne confuta un'altra, ma quale parola può contestare la vita? Pensiamo anche che sia impossibile conoscere se stessi con il metodo della distinzione, del ragionamento e dell'analisi, a meno che non ci si liberi dall'orgoglio e dal male attraverso una impietosa penitenza e un'ascesi attiva. Colui che non si eserciterà in questi campi non potrà nemmeno conoscere la sua ignoranza, utile inizio per giungere all'acquisizione della conoscenza di se stessi.

14. Un uomo di buon senso non deve condannare in blocco ogni forma di ignoranza, come del resto non è vero che ogni conoscenza sia da considerarsi buona. Dovremmo, dunque, basarci sulla conoscenza come unico metro per ogni nostra attività? «La conoscenza, afferma Basilio, ha un duplice aspetto: ce n'è una che bisogna obbligatoriamente possedere e comunicare agli altri, poiché contribuisce alla nostra salvezza, mentre l'altra che riguarda le conoscenze della terra, del mare e del cielo non è necessaria per il raggiungimento della beatitudine». Il fine che ci sta davanti comprende i beni futuri, l'adozione, la deificazione, la rivelazione, il possesso e la felicità celesti. La conoscenza, invece, che deriva dal sapere profano condivide le sorti del secolo presente. Se le parole sensibili dovessero stabilire la realtà del secolo futuro gli eredi del Regno dei cieli sarebbero i saggi di questo mondo. Secondo Massimo, vero filosofo: «Se fosse la purezza dell'anima a vedere, i saggi sarebbero lontani dalla conoscenza di Dio». Che bisogno abbiamo di una conoscenza che non ci avvicina a Dio? Perché mai senza di essa è possibile acquisire perfezione e santità?

15. Per ora tralascio le opinioni di questi pretenziosi che abusano delle Scritture dello Spirito interpretandole poi contro le opere e gli uomini spirituali. Dirò solo quello che si addice per confutarli. Essi affermano che Dio è invisibile e incomprensibile: Nessuno ha vasto Dio, il Figlio unigenito che è nel suo seno ce l'ha fatto conoscere (Gv 1,18), quindi ritengono in errore coloro che sostengono di vedere Dio in se stessi, come luce intelligibile. Però uno di noi può opporre loro il Verbo, Figlio unico di Dio, che dice: l 'puri di cuore vedranno Dio (Mt 5,8) e io mi farò conoscere, prendendo dimora in loro insieme al Padre (Gv 14,21.23). Ed essi subito controbattono interpretando questa contemplazione come conoscenza, senza rendersi conto della contraddizione: il divino è non solo invisibile, ma è anche incomprensibile. Perciò quelli che insegnano che la visione intellettuale di Dio nella luce è il frutto di un'immaginazione ingannata e di un'attività demoniaca, dovrebbero allo stesso modo rifiutare la conoscenza di Dio, perché Dio è inconoscibile. Ma noi a proposito della conoscenza, non vogliamo contraddirli dato che concordano con noi sebbene non sappiano quello che dicono. Esiste in effetti una conoscenza di Dio e delle sue dottrine attraverso la contemplazione, che noi denominiamo teologia; d'altra parte il movimento naturale delle potenze dell'anima e delle membra del corpo producono una trasformazione dell'immagine razionale. Però non consiste in ciò la bellezza perfetta dello stato eccellente che deriva dall'alto. Questa non è l'unione sovrannaturale con la luce più che splendente, unica origine di una teologia sicura che ha l'effetto di stabilire e di muovere in conformità con la natura delle potenze interiori dell'anima e del corpo. Rifiutando questa hanno soppresso anche ogni virtù e verità.

16. Ne consegue che nessuna contemplazione, per quanto mistica ed elevata, appartenga al campo della conoscenza di cui parlano. Una tale contemplazione di Dio non esisterebbe a causa della sua invisibilità. Noi che abbiamo appreso ciò da quelli che hanno partecipato alla vera contemplazione poniamo a questi filosofi la seguente domanda: ritenete che nemmeno lo Spirito Santo veda le cose che riguardano Dio? Mentre, invece, lui scruta le stesse profondità di Dio (1Cor 2,10)? Se qualcuno, dunque, pretendesse di vedere la luce indipendentemente dallo Spirito Santo voi avreste ragione di opporvi e di affermare: come si può vedere l'Invisibile? Ma se un uomo rifiuta lo spirito del mondo, chiamato dai Padri tenebra intelligibile che opprime i cuori non purificati, se egli si libera da ogni volontà personale, allontanandosi da ogni usanza umana che ritarda, per quanto poco, il suo zelo, anche se questa usanza può sembrare buona, come dice il grande Basilio, se egli infine accoglie in maniera conveniente le potenze della sua anima e pone l'occhio della sua ragione nella sobrietà, se meditando vive nello spirito secondo la sua natura, in conformità a Dio, e se supera se stesso e riceve in sé lo Spirato che viene da Dio che conosce le cose di Dio come lo spirito dell'uomo conosce le cose dell'uomo (1 Cor 2,11) e lo riceve questo spirito, come dice Paolo, per conoscere le cose che Dio ha donato misticamente attraverso la sua grazia (1 Cor 2,12) cose che l'occhio non ha visto, che le orecchie non hanno inteso e che non sono salite nel cuore dell'uomo (1 Cor 2,9): come, con l'aiuto dello Spirito costui non potrebbe raggiungere la luce invisibile? In che maniera questa luce resterebbe invisibile, inascoltabile, incomprensibile, benché sia l'effetto della visione? Coloro, infatti, che la scorgono vedono quello che l'occhio non ha visto, quello che l'orecchio non ha inteso e quello che non è salito al cuore dell'uomo! Questi uomini ricevono occhi spirituali e possiedono lo spirito di Cristo (1 Cor 2,16): così possono vedere l'Invisibile e concepire l'Incomprensibile, egli infatti non è invisibile per se stesso, ma per quelli che vedono con occhi e pensieri creati e naturali. A quelli in cui Dio si è adattato come un membro che li dirige, perché non dovrebbe concedere la contemplazione della sua grazia?

17. Perché Dio lodando la potenza spirituale presente nei loro occhi, non dovrebbe dedicare loro le parole del Cantico e la loro teologia che dice: Vedi quanto sei bella, amica mia, i tuoi occhi sono di colomba (1,15)? E loro, quando percepiscono la bellezza dello sposo, con le stesse parole gli attribuiscono numerose lodi. Gli iniziati conoscono la colomba che la sposa ha negli occhi, quando per la prima volta essa vede la bellezza di Dio suo sposo, descrivendo nei particolari questa bellezza divina a coloro che ascoltano con fede. Come un raggio degli occhi congiunto con un raggio di sole diviene luce e vede gli oggetti sensibili, così anche l'intelletto, divenuto un solo Spirito con il Signore (1 Cor 6,17) contempla con chiarezza le cose spirituali. Ma anche in questa visione, in un'altra maniera, il Maestro dimora invisibile, anche se in forma superiore rispetto a quella che lo rende invisibile nei ragionamenti spiccioli di quelli che contraddicono gli uomini spirituali. Nessuno, infatti, ha mai visto la totalità di questa bellezza, come insegna Gregorio di Nissa «nessun occhio l'ha mai scrutata, anche se la guarda sempre», infatti questa totalità nel suo insieme, non la si penetra se non nella misura in cui uno ha reso se stesso recettivo alla potenza dello Spirito divino. Ma ecco ciò che è più divino e più straordinario di questa incomprensibilità: se anche uno possiede la comprensione, la possiede in modo incomprensibile. Infatti, i veggenti non conoscono ciò che permette loro di scrutare, di percepire, né con che cosa vengono iniziati e non comprendono la conoscenza di quelle che non sono ancora le realtà eterne, perché lo Spirito, attraverso cui vedono, rimane incomprensibile. Come sottolinea Dionigi: «una simile unione dei divinizzati con la luce che proviene dall'alto si produce quando tace ogni attività della mente». Tutto questo non è il risultato di una causa o di un'analogia, perché questi dipendono dall'attività della mente; è il risultato piuttosto di una sottrazione, anzi non è nemmeno sottrazione, perché allora dipenderebbe da noi, come affermano i Messaliani, elevarsi verso i misteri nascosti di Dio quando vogliamo, come afferma sant'Isacco quando parla di loro. La contemplazione, quindi, non è solo negazione, è un'unione e una divinizzazione che sopraggiunge misticamente attraverso la grazia di Dio, dopo che ci si è liberati da tutto quello che agita la mente o, meglio ancora, sopraggiunge dopo la cessazione di qualsiasi attività mentale: perciò è molto più di una sottrazione, è il segno stesso della cessazione. Ecco perché ogni credente deve separare Dio da tutte le sue creature; quando cessa ogni attività della mente l'unione che ne risulta con la luce proveniente dall'alto è uno stato oggettivo e una conclusione divinizzante. Ciò appartiene solamente a coloro che hanno purificato il loro cuore e che hanno ricevuto la grazia. Perché parlo di unione quando essa è ben lontana anche dalla più piccola visione che hanno contemplato i discepoli scelti da Dio? Eppure essi nell'estasi, completamente privi di ogni percezione dei sensi e della mente, furono ammessi comunque alla vera visione poiché avevano cessato di vedere e perché sono stati rivestiti dei sensi soprannaturali sebbene non li conoscessero. Con l'aiuto di Dio, dimostreremo più avanti che essi hanno visto e che gli strumenti della loro visione non erano né i sensi, né la mente, propriamente detti.

18. Hai compreso ora che al posto dell'intelligenza, dell'occhio e delle orecchie essi acquisiscono lo Spirito incomprensibile attraverso cui vedo no, percepiscono e comprendono? Infatti, se ogni attività della mente fosse bloccata, in qual altro modo gli angeli, e uomini simili a loro, potrebbero vedere se non attraverso la potenza dello Spirito? La loro visione non è una sensazione, altrimenti la riceverebbero per mezzo dei ragionamenti e della conoscenza che da questi deriva, ma attraverso la cessazione di ogni attività mentale. La visione, infatti, non è né il prodotto dell'immaginazione né quello della ragione e non è né un'opinione né il risultato di sillogismi. D'altra parte lo spirito non l'acquisisce solo con la negazione, giacché secondo i precetti dei Padri, ogni comandamento e ogni legge sacra ha come scopo la purezza di cuore. Ogni modo e ogni aspetto della preghiera ha per coronamento la preghiera pura ed ogni mente che si innalza verso Colui che è trascendente e separato dal mondo, si ferma una volta sottratta a tutti gli esseri. Tuttavia sarebbe menzognero affermare che al di là della realizzazione dei comandamenti divini vi sia solamente la purezza del cuore. Ci sono molte altre cose: il pegno delle promesse di questo secolo e dei beni del secolo futuro, visibili ed accessibili grazie alla purezza del cuore; e così al di là della preghiera c'è l'indicibile visione e nella visione l'estasi e i suoi misteri nascosti. Allo stesso modo dopo il superamento degli esseri, compiuto in noi non solo a parole, ma di fatto, se c'è un'ignoranza essa è più di una conoscenza, e se c'è un'oscurità essa è più che luminosa: infatti, per Dionigi, in questa oscurità i doni divini sono dati ai santi. Così la perfettissima contemplazione di Dio e delle cose divine non è solo uno spogliamento, ma è al di là di esso, è una partecipazione alle cose divine, un dono e un possesso maggiore di uno spogliamento. Ma questo possesso e questi doni sono indicibili: volendone parlare si deve ricorrere all'immagine e all'analogia, non perché essi si esprimano in quella forma, ma perché quel che si vede nella visione non può essere trasmesso altrimenti. Proprio per il fatto che si tratta di cose indicibili, le si espone in una forma di immagine o per analogia. Quelli che non ascoltano con religioso rispetto la parola divina considerano stoltezza la conoscenza sovrasapiente e, calpestando con le loro derisioni le perle spirituali, attaccano quelli che hanno cercato, nella misura del possibile, di manifestarle loro.

19. Questi santi, come ho detto, parlano, per quanto possibile, delle cose indicibili per amore verso gli uomini, al fine di contestare l'errore di quelli che pensano, nella loro ignoranza, che dopo il superamento degli esseri ci sia l'inazione assoluta e non un'inazione che oltrepassa ogni attività. Tuttavia questi misteri rimangono indicibili per la loro stessa natura. Ecco perché il grande Dionigi asserisce che dopo lo spogliamento dagli esseri non c'è parola, ma silenzio: «Quando il nostro essere sarà innalzato, saremo uniti all'Inesprimibile». Nonostante questa inesprimibilità, non basta la sola via della negazione per raggiungere i misteri sovraintelligibili, poiché tale procedimento non è che un'intellezione di ciò che è diverso da Dio, il quale porta l'immagine della contemplazione inesprimibile e del compimento dello spirito, senza per questo esserlo pienamente. Coloro che come gli angeli per mezzo di questa sottrazione si sono uniti alla luce, decantano questa usando l'immagine dello spogliamento totale: l'unione mistica con la luce insegna loro che quest'ultima è sovraessenzialmente trascendente rispetto a qualsiasi cosa. D'altronde quelli ritenuti degni di ricevere il mistero, con orecchio fedele ed accorto come quello degli iniziati, possono anch'essi cantare la luce divina ed incomprensibile partendo dallo spogliamento totale. Non possono però unirsi con essa o vederla, a meno che non si purifichino ubbidendo ai comandamenti divini e consacrando la loro mente alla preghiera purificata ed immateriale per ricevere la potenza sovrannaturale della contemplazione.

20. Come potremo chiamare questa potenza che non dipende né dall'attività della mente né dai sensi? Non diversamente da Salomone, il quale ha affermato: essa è una sensazione intellettuale e divina. Accoppiando i due aggettivi egli convince il suo ascoltatore a non considerarla come un'intellezione, dato che l'attività della mente non è nessuna delle due, essendo la sensazione spirituale qualcosa di diverso rispetto a loro. Meglio ancora, secondo Dionigi, la si deve chiamare «unione», ma non conoscenza. «Bisogna sapere, egli dice, che la nostra mente possiede, da una parte, la potenza di comprendere, che permette di scrutare gli intelligibili, dall'altra, l'unione che supera la natura della mente legandola a ciò che è trascendente». E ancora: «le facoltà intellettive, come le sensazioni, diventano superflue quando l'anima, dopo aver assunto un aspetto deiforme, si dona ai raggi della luce inaccessibile in una "unione" inconoscibile con sguardi senza occhi». Quest'unione, come afferma san Massimo, è ricca di doni divini; infatti i santi, osservando la luce della gloria nascosta e indicibile, divengono essi stessi capaci di ricevere, insieme alle potenze celesti, la beata purezza.

21. Nessuno creda, però, che questi santi abbiano avuto come unico scopo quello di raggiungere l'elevazione attraverso la via negativa, perché essa appartiene al primo venuto che la desidera, e non trasforma l'anima facendole raggiungere lo stato angelico. Essa libera la ragione in rapporto agli altri esseri, ma non può procurare da sola l'unione con i misteri trascendenti. La purezza della parte passionale dell'anima libera l'intelligenza in rapporto all'universo e le procura l'impassibilità; e quest'ultima con la preghiera la unisce alla grazia dello Spirito dandole la felicità degli abbagliamenti divini che le fanno assumere un aspetto angelico e divino. Ecco perché i Padri che hanno seguito il grande Dionigi hanno chiamato questo stato «sensazione spirituale», dato che si conviene di più e, in qualche modo, esplica meglio la contemplazione mistica. Nella contemplazione, infatti, non si vede realmente né con la mente, né con il corpo, ma con lo Spirito; e si sa con sicurezza che si vede, in maniera sovrannaturale, una luce che oltrepassa la luce. Non si conosce, però, l'organo che permette di vedere, e non si può neanche cercarne la sua natura, per l'inconoscibilità stessa dello Spirito. È quello che dice pure san Paolo quando udì le cose indicibili e vide quelle invisibili: vedevo e non sapevo se ero senza il mio corpo o in esso (2 Cor 12,2). Voleva dire, cioè, che non sapeva se vedeva con la sua mente o con il suo corpo. Egli non vede con i sensi, però la sua visione è chiara come quella che acconsente alla sensazione di percepire le cose sensibili. Si vede rapito da se stesso dalla fragranza misteriosa della visione. Nell'estasi ci si dimentica di pregare Dio. Trovando conferma presso il divino Gregorio, sant'Isacco così parla: «la preghiera è la purificazione dello spirito che viene interrotta con sgomento dalla luce della Trinità». E ancora: «La purezza dello spirito è quella che permette alla luce della Trinità di risplendere quando si prega; la mente supera allora la preghiera, e questa condizione non è quella della preghiera, ma la generazione della preghiera pura inviata dallo Spirito. La mente allora non prega con una preghiera formulata, ma è in estasi in seno alle realtà incomprensibili; questa è l'ignoranza che oltrepassa la conoscenza». Questa realtà di beatitudine che ha rapito Paolo, facendo uscire il suo spirito da ogni essere per unirlo in se stesso, è per lui come una luce di rivelazione, però non di corpi sensibili, una luce che non ha limiti né verso l'alto né verso il basso, né da nessun'altra parte. Egli non vede i limiti della sua visione e della luce che la illumina, è come se vedesse un sole più luminoso e più esteso dell'universo dove al centro sta lui come un occhio. Questa visione è più o meno così.

22. Ecco perché il grande Macario afferma che questa luce è infinita e sovraceleste. Uno dei santi più perfetti ha contemplato l'universo intero come racchiuso in un raggio di questo sole intelligibile, senza vedere per questo l'essenza divina e la totalità di ciò che contemplava, infatti vedeva nella misura in cui egli stesso si era reso percettivo. Con questa contemplazione, con la sua unione sovraintelligibile ha conosciuto questa luce non nella sua natura, ma nella sua reale manifestazione soprannaturale e superessenziale diversa da quella di tutti gli altri esseri, poiché il suo essere è assoluto e unico e comprende misteriosamente tutti gli esseri. Tuttavia chi non vuole comprendere mette se stesso nell'incapacità di vedere, non essendo completamente sottomesso al volere dello Spirito per mezzo di una completa purificazione. Quando giunge la visione il contemplante sa bene, dalla gioia, dall'impassibilità, dalla tranquillità e dal fuoco dell'amore divino che lo illumina, che si tratta della luce divina anche se non la vede in modo chiaro. Allo stesso tempo progredisce nelle pratiche gradite a Dio, applicandosi alla preghiera e all'elevazione totale della propria anima, facendo esperienza pure, nello stesso tempo, di una contemplazione ancor più luminosa. Allora comprende che la sua visione è infinita perché essa è l'Infinito, e perché non vede il limite della sua luce, ma scorge sempre di più la debolezza della sua capacità recettiva.

23. Questa visione non viene però da quel santo considerata la visione della natura di Dio. Come l'anima comunica la vita al corpo animato - questa vita la chiamiamo anima, perché sappiamo che l'anima è in noi e ciò che comunica la vita è distinto da essa - così Dio, che abita nell'anima teofora, comunica la luce. Tuttavia l'unione di Dio onnipotente con quelli che ne sono degni trascende questa luce. Questa luce è per questo motivo divina e viene giustamente chiamata dai santi «divinità», dato che è la fonte della deificazione. Essa non è solamente divinità, ma deificazione in sé e tearchia. Essa appare come una distinzione e una moltiplicazione del Dio unico, ma non è minore di Colui che è il Principio di Divinità, più che Dio e più che Principio. Essa è l'Unico nell'unica Divinità e per questo motivo è il Principio di Divinità. Dio, infatti, è l'Esistenza di questa Divinità, come hanno insegnato tutti i dottori della chiesa. Il grande Dionigi l'Areopagita chiama divinità il dono deificante che procede da Dio. Quando Gaio domanda a Dionigi come mai Dio possa essere posto al di sopra della tearchia, così risponde: «Se consideri Divinità la realtà del dono deificante che ci deifica e se questo dono è principio di deificazione, Colui che è al di sopra di ogni Principio è anche al di là di ciò che noi chiamiamo Divinità». Infatti, per questo motivo, i Padri affermano che la grazia divina della luce sovrasensibile è Dio, però aggiungono che egli nella sua natura non è solamente questo, dato che non solo illumina e deifica l'intelletto, ma fa sorgere dal non essere ogni essenza intellettuale.

24. Vedi che i contemplatori della divinità considerano la luce invisibile usando un modo più adeguato rispetto ai grandi conoscitori della saggezza profana? Coloro che sono giunti a questo grado di contemplazione sanno di vedere una luce con il senso intellettivo, e sanno pure che questa luce è Dio, il quale, per mezzo della sua grazia, rende luminosi chi partecipa della sua luminosità. Se tu domandi ai santi in che maniera vedono l'invisibile, loro ti risponderanno: Non con discorsi insegnati dalla sapienza umana, ma con quelli insegnati dallo Spirito Santo (1 Cor 2,13). A loro non manca nulla e perciò non hanno bisogno della saggezza umana dato che possiedono quella dello Spirito: ciò che fa la loro gloria è che nel mondo sono vissuti con semplicità, purezza e grazia di Dio, e non nella sapienza carnale (2 Cor 1,12). Ti risponderanno anche in maniera pia: O uomo, le cose divine non sono limitate alla nostra conoscenza, al contrario, numerose cose che ignoriamo provengono da Dio. Perciò è comparando le cose spirituali tra di loro che stabiliamo la grazia della Nuova Alleanza dopo l'Antica (1 Cor 2,13). L'apostolo ha chiamato questa dimostrazione comparazione, perché dopo aver così «stabilito» le cose nuove, dimostra pure che i doni della grazia sono superiori a quelli della legge. Se si domanda ai santi in che modo si può vedere la luce invisibile, quelli che vedono e che vivono con lo Spirito, risponderanno: «Come l'ha vista Elia, il contemplatore di Dio. Il mantello con cui si è nascosto il viso, dimostra che non vedeva con gli occhi sensibili, tuttavia il soprannome che tutti gli attribuiscono testimonia e afferma chiaramente che ha visto Dio, anche se si era nascosto gli occhi sensibili. Tutti, infatti, lo chiamano «contemplatore di Dio» oppure «il più grande tra i suoi contemplatori».

25. Se a loro inoltre chiedi: «Perché affermate che la preghiera risuona nelle vostre viscere? Cosa muove il vostro cuore?» essi daranno importanza al terremoto che udì Elia prima della visione manifesta e intellettiva di Dio ed anche al profeta Isaia quando parla delle viscere che risuonano1'. Se chiedi loro in che modo la preghiera genera in noi calore, essi parleranno del fuoco che lo stesso Elia designa come segno di Dio prima della sua apparizione, segno che si trasforma in una leggera brezza se sta indicando, dopo esser investito del raggio divino, l'Invisibile a colui che lo contempla. Segnaleranno ancora Elia che assomiglia a un fuoco mentre sale corporalmente su un carro infuocato e indicheranno pure un altro profeta le cui viscere sono state bruciate dal fuoco: la parola di Dio era diventata in lui come fuoco. Se vuoi fare altre ricerche su quello che in loro si è verificato dal punto di vista mistico, essi ti mostreranno cose simili, come ho detto, paragonandole a episodi spirituali. Diranno a tutti: o uomo, non senti che un altro uomo ha mangiato il pane degli angeli? (Sal 77,25). Non senti il Signore che dice che darà lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono giorno e notte? (Lc 11,13; 18,7). Che cos'è il pane degli angeli? Non è forse la luce divina e sovraceleste a cui si uniscono gli spiriti, sia in maniera intuitiva sia mediata, trascendendo lo spirito? Dio ha prefigurato agli uomini questa illuminazione, mandando la manna per quarant'anni. Cristo ha realizzato ciò mandando lo Spirito a quelli che credono in lui con fermezza e che testimoniano la loro fede attraverso le opere, proponendo come nutrimento il suo corpo che illumina. Questo è il pegno di Gesù per la comunione futura. Non c'è poi da meravigliarsi se i fatti dell'Antico Testamento prefiguravano altri doni di Cristo. Vedi che con queste apparizioni simboliche si ottiene un'illuminazione intellettuale e altri misteri differenti dalla conoscenza?

26. Poiché affermi che quelli che rifiutano la divina luce della grazia chiamano la luce del Tabor luce sensibile, noi chiediamo loro se considerano divina la luce che allora risplendette sui discepoli prescelti. Se non la considerano tale Pietro li confuterà, che secondo Marco vegliò sulla montagna e vide la gloria di Cristo (Mc 9,2-8), e che, nella sua epistola, scrive di aver contemplato la sua maestà quando era con lui sulla santa montagna (2 Pt 1,16.18). L'interprete evangelico dalla lingua d'oro chiuderà loro la bocca con eleganza dicendo: «Il Signore apparve più splendente di se stesso, conservando la forma del suo corpo, ma facendo scorgere la divinità dai suoi raggi». Infine le bocche dei filosofi verranno definitivamente chiuse da Dionigi il Grande il quale chiama questo avvenimento «teofania» e «contemplazione di Dio». Anche Gregorio il Teologo ribadisce che «la divinità contemplata dai discepoli sulla montagna era in forma di luce». Come molti altri, poi, Simeone, il quale con il suo prezioso stile ha cantato la vita di quasi tutti i santi, scrive che il Teologo, discepolo prediletto di Cristo, «ha visto la divinità del Verbo nella sua nudità» sulla montagna. Se questi filosofi, in conformità con la verità e con i suoi interpreti, chiamano questa luce divina e di Dio, dovrebbero per forza affermare anche che la perfetta visione di Dio è come una luce. Ecco perché Mosè e quasi tutti i profeti l'hanno vista in questo modo, in particolare quelli a cui è apparsa quando erano svegli e non addormentati. Consideriamo pure come simboliche tutte le visioni sacre dei profeti dato che i nostri oppositori così vogliono! Tuttavia la visione contemplata dagli apostoli sul Tabor non era una luce simbolica che dopo essere apparsa scompare. Essa riveste il significato della seconda venuta di Cristo che sta per giungere: questa stessa luce risplenderà eternamente per quelli che ne sono degni nel secolo senza fine, come afferma il divino Dionigi`. Per questo Basilio il Grande ne parla come di un assaggio della seconda venuta` e il Signore nel Vangelo la chiama Regno di Dio (Lc 9,27).

27. Perché essi contestano coloro che affermano che i santi vedono Dio misteriosamente come una luce, se la visione divina è luce oggi e nel secolo futuro? Non è vero, forse, che questi santi sostengono che la luce non è sensibile, ma piuttosto spirituale, come afferma pure Salomone? (Sap 7,22). Questi filosofi di cui parli sono dei calunniatori quando dicono che i santi durante la preghiera vedono una luce sensibile e accusano tutti quelli che chiamano sensibili alcuni carismi divini. Dimenticando se stessi, in che modo possono accusare quelli che ritengono che la luce divina non è sensibile? Sembra che siano bravi nel calunniare, ma che non se ne rendano conto! Questi esegeti infallibili delle antiche e delle nuove manifestazioni della luce, rispondono chiedendo: se sulla montagna ci fosse stato un animale razionale, avrebbe percepito quel raggio più luminoso del sole? Non penso proprio. Non è scritto, infatti, che il gregge dei pastori della natività abbia inteso la gloria di Dio. Perché allora questa luce sarebbe sensibile se non viene percepita dagli occhi? Gli animali razionali che normalmente vedono le cose sensibili non la percepiscono. Se gli occhi sensibili degli uomini l'hanno contemplata, ciò è avvenuto perché si differenziano dagli animali non razionali. In che cosa si distinguono? In una cosa: nello spirito che vede per mezzo degli occhi. Non si tratta quindi di una facoltà sensitiva, perché allora anche gli esseri irrazionali avrebbero potuto contemplare la luce, e nemmeno di una facoltà intellettiva che coglie attraverso la sensazione, perché qualsiasi occhio l'avrebbe vista nei dintorni, brillando più del sole. Se sono queste facoltà che hanno permesso agli apostoli di vederla, significa che non è veramente sensibile. Nulla di quello che è sensibile è eterno e la luce divina, spesso chiamata gloria di Dio, non ha né inizio né fine, quindi non è sensibile.

28. Questa luce non è sensibile, anche se gli apostoli sono stati fatti degni di percepirla con i loro occhi per merito di una facoltà non sensibile. Ecco il motivo per cui tutti i teologi sostengono che la luce del volto di Cristo era indicibile, inaccessibile e atemporale e dato che si trattava di una realtà misteriosa questo raggio, propriamente parlando, non era accessibile ai sensi. Lo stesso vale per la luce del luogo in cui abitano i santi quando abbandonano il mondo terreno per ricevere il premio loro riservato; lo splendore visibile prima di morire è per i santi un anticipo che ricevono quaggiù come pegno. Se tutte queste cose vengono chiamate luce sembra strano che cadano, qualche volta, nella sfera sensibile, anche se sono superiori alla mente, le parole che noi attribuiamo loro sono lontane dalla verità. In che modo potrebbero essere sensibili nel vero senso della parola? Quando preghiamo per i defunti, invochiamo in continuazione la bontà tearchica: «Poni le anime in un soggiorno luminoso». Che bisogno avrebbero le anime di una luce sensibile? Perché sarebbero afflitte dalle tenebre che si oppongono a questa luce, se fossero tenebre sensibili? Vedi che nulla di tutto questo cade sotto il dominio dei sensi? Quando sopra abbiamo menzionato il fuoco tenebroso dei demoni, abbiamo dimostrato che non si tratta di una ignoranza o di una conoscenza. Non bisogna perciò pronunciarsi sulla misteriosa e splendente apparizione di Gesù sul Tabor con ragionamenti inadeguati, cioè umani e perciò instabili; bisognava invece ottemperare alla voce dei Padri e mirare alla vera conoscenza che proviene dall'esperienza nella purezza del cuore. Infatti questo tipo di conoscenza compie l'unione con la luce e, a quelli che la trovano, insegna misticamente che non può essere di nessun essere finito, dato che essa trascende tutti gli esseri. In che maniera possiamo considerare sensibile ciò che trascende tutti gli esseri? Quale essere sensibile non è una creatura? Lo splendore di Dio come può essere una creatura? Propriamente parlando, dunque, questa luce non è sensibile.

29. Il grande Macario afferma: «Quando l'anima ritorna a Dio, suo Padre e Signore, come un figliol prodigo, nel timore, nell'amore e nella vergogna, Dio la riceve senza pensare alle sue mancanze e la riveste di gloria, l'abito della luce di Cristo». C'è forse un'altra gloria e un'altra luce di Cristo al di là di quella che Pietro vide completamente sveglio quando era con lui sulla montagna (2 Pt 1,16-18)? Se fosse luce sensibile in quale modo sarebbe il vestimento dell'anima? Lo stesso teologo altrove dice: «questa luce è sovraceleste». C'è forse un essere sovraceleste? E continua altrove: «Il Signore ha fatto sedere la pasta umana da lui assunta alla destra della maestà divina nei cieli, nella pienezza della sua gloria, non solo sul volto, come per Mosè, ma su tutto il corpo». Se nessuno riceve questa luce, essa risplende invano? Sì, se la luce fosse sensibile. È questo davvero il nutrimento degli spiriti, degli angeli e dei giusti? Ecco perché quando preghiamo per i defunti, imploriamo Cristo di «porre le loro anime dove brilla la luce del suo volto». Le anime come potrebbero essere nella gioia e come potrebbero abitare in una luce che splende in maniera sensibile? Da parte sua il grande Basilio sostiene, a proposito dell'apparizione del Maestro secondo la carne, che coloro che avranno il cuore puro vedranno le potenze celesti per l'eternità attraverso il suo Corpo adorato. In che modo può essere sensibile questa luce che si vede attraverso la purezza del cuore? Secondo Cosma, divino melode, «Cristo sulla montagna aveva l'aspetto di una luce infinita». Come potrebbe apparire infinita una luce sensibile?

30. Stefano, primo martire, mentre moriva, fissando i suoi occhi in alto, vide i cieli che si aprivano e contemplò la gloria di Dio e Cristo in piedi alla destra del Padre (Al 7,55-56). Per mezzo delle nostre facoltà sensitive è possibile giungere alle realtà sovracelesti? Quest'uomo le vedeva pur rimanendo sulla terra, e quello che è ancora più straordinario è che non vedeva solamente il Cristo, ma anche suo Padre. Come avrebbe potuto, infatti, vedere il Figlio alla sua destra se non avesse visto anche il Padre? Vedi, l'invisibile si lascia contemplare da coloro che hanno il cuore purificato, in una maniera, però, né sensibile, né invisibile, né per via negativa, bensì attraverso un'indicibile potenza, poiché la maestà sublime e la gloria del Padre non possono essere in nessuna maniera accessibili ai sensi. La posizione di Cristo alla destra del Padre era simbolica, ma non la visione. Anche lo stare in piedi rappresenta simbolicamente Colui che è saldo e immutabile, come la consistenza della natura divina e Stefano vide questa visione in maniera misteriosa. L'Unigenito non simulava la posizione a destra, alludendo a qualcos'altro, ma trovandosi sempre alla destra del Padre ha voluto rivelare la sua gloria a quello che abitava ancora nella carne, ma che però aveva abbandonato la sua vita per quella gloria. Per via di negazione non è possibile né vedere né concepire niente, mentre Stefano vide la gloria di Dio. Se questa visione fosse stata intellettuale, o se fosse derivata da una deduzione o da un'analogia, significherebbe che noi vedremmo come lui, perché pure noi potremmo, per analogia, rappresentarci Dio divenuto uomo in piedi o seduto nei cieli alla destra della maestà divina. Perché il discepolo del Vangelo non aveva avuto quella visione in precedenza, ma solo in quel momento? «Ecco, disse, vedo i cieli aperti e il Figlio dell'Uomo in piedi alla destra di Dio». Quale esigenza aveva di «fissare gli sguardi verso il cielo» e il cielo di «aprirsi», se questa visione fosse stata una conoscenza acquisita intellettualmente? In che modo il protomartire ha avuto questa visione se non vedeva né intellettualmente, né sensibilmente, né attraverso la negazione, se non pensava le cose divine per mezzo della deduzione e dell'analogia? Te lo dirò: spiritualmente; come ho sostenuto a proposito di quelli che vedono la luce pura attraverso la rivelazione, come numerosi Padri hanno affermato prima di noi. Luca ci ammaestra dicendo anche: Stefano pieno di fede e di Spirito Santo, fissando i suoi sguardi al cielo, vide la gloria del Signore. Anche tu, se sei ripieno di Spirito Santo, puoi contemplare spiritualmente le cose invisibili, ma se sei privo di fede non crederai alla testimonianza di quelli che hanno veduto. Infatti, pur avendo una fede mediocre, se ascolterai piamente quelli che narrano misteri, nella misura in cui ciò è possibile, senza abbassarli alla sfera del sensibile e dell'intellettivo, anche impiegando gli stessi termini, non combatterai contro la verità come fosse un errore e non rifiuterai la grazia misteriosa di Dio concessaci.

31. Così è, infatti, la contemplazione che i Padri denominano mirabilmente vera, così è l'energia che la preghiera comunica al cuore, così sono il calore e la gioia spirituale che ne derivano e tali sono le lacrime di gioia che ci elargisce la grazia. Quello che sta all'origine di tutto questo viene acquisito con i sensi spirituali. Dico «sensi» perché la percezione è evidente e chiara, priva di errori ed estranea all'immaginazione. Inoltre, in un certo senso anche il corpo partecipa della grazia che agisce secondo lo spirito: questi entra con essa in armonia divenendo sensibile al mistero segreto che si attua nell'anima. Chi guarda dall'esterno quelli che possiedono la grazia riceve una certa percezione di quanto si verifica nella loro interiorità. Così risplendeva anche il volto di Mosè, perché lo splendore interiore della sua mente si era espanso anche sul suo corpo; risplendeva così luminosamente da impedire a quelli che lo guardavano di fissarlo. Anche il volto di Stefano assomigliava al volto di un angelo (At 6,15): infatti, dall'interno della sua mente ricevette l'aspetto degli angeli per imitazione, acquistando in questo modo la loro dignità, unendosi sia per mediazione sia in maniera diretta, con una misteriosa partecipazione, alla Luce che trascende l'universo. In questo modo anche Maria egiziaca, o meglio la celeste Maria, mentre stava pregando si elevò al di sopra del suo corpo e dei suoi sensi mutando realmente luogo: quando si elevava lasciando la terra, appariva come un corpo sospeso nell'aria.

32. Quando l'anima è trasportata in questo modo ed è in movimento verso l'unico Desiderabile con il suo amore irresistibile, anche il cuore, per così dire, agisce con balzi spirituali in comunicazione con la grazia, come se andasse incontro al suo Signore sulle nubi, secondo la sua promessa. Così, quando nella profondità della preghiera continua appare il fuoco intelligibile e si accende la luce intelligibile e per mezzo della contemplazione spirituale la mente risveglia il desiderio della fiamma che ci eleva, anche il corpo diviene caldo e leggero in una maniera inattesa. Secondo lo scrittore dell'ascesa spirituale appare, a quelli che lo osservano, come se fosse uscito dal calore di una fornace sensibile. Credo anche che il sudore di Cristo durante la preghiera (Lc 22,44) sia un segno sensibile del calore che comunica al corpo la supplica continua verso Dio. Cosa rispondono coloro che affermano che il calore derivante dalla preghiera è di origine demoniaca? Insegneranno, forse, a non praticare la preghiera incessante per impedire che il corpo riceva il calore che negano, in rapporto al combattimento dell'anima? Questi insegnano una preghiera che non conduce né a Dio né alla sua imitazione e né alla trasformazione che rende l'uomo migliore. Noi, invece, sappiamo che per mezzo del travaglio dell'ascesi, abbiamo rifiutato il piacere che avevamo scelto dopo il peccato originale, per questo nella preghiera, attraverso i nostri sensi spirituali, assaporiamo la gioia divina nella beatitudine. Essa, infatti, trasforma il corpo per rendergli accessibile l'amore impassibile e divino, come proclama davanti a Dio il profeta che ne ha avuto l'esperienza: Come son dolci le tue parole nella mia gola, sono più dolci del miele per la mia bocca (Sal 118,103); ed ancora: La mia anima si riempirà di grasso e di ricchezza e le mie labbra felici ti esalteranno (Sal 62,5). Attraverso quel piacere, e in seguito ad esso, le possibilità di elevarsi depositate nel cuore partecipano alla quiete divina e al piacere angelico «attraverso la venuta divina delle illuminazioni divine», come afferma Dionigi il Grande.

33. L'afflizione divina purificatrice non si manifesta unicamente nell'anima dei lottatori spirituali, ma si trasmette anche al loro corpo e alla loro sensibilità: le lacrime di dolore che versano quelli che soffrono per i propri peccati ne sono la prova più evidente. Perché non dovremmo ricevere con altrettanta pietà i segni della gioia divina dello Spirito che appaiono attraverso i fallaci sensi del corpo? Non è, forse, per questo che il Signore afferma: beati gli afflitti perché saranno consolati? (Mt 5,4); ossia: beati quelli che riceveranno la gioia frutto dello Spirito? Anche il corpo partecipa alle diverse forme di questa consolazione e quelli che l'hanno provato lo sanno. D'altronde, i santi costumi di quest'ultimi, le loro lacrime dolci, la loro carismatica conversazione che conducono con quelli che vanno a vederli, rendono manifesto tutto ciò anche agli sguardi estranei, come dice anche il Cantico: o sposa, le tue labbra stillano miele (4,11). Infatti, l'anima non è la sola a godere delle promesse future, anche il corpo compie unito ad essa la corsa evangelica verso quelle promesse. Colui che nega ciò nega anche la vita dei corpi nel secolo a venire. Se il corpo potrà partecipare ai beni segreti, significa che lo può fare sin d'ora, in conformità alla sua natura, quando Dio gli dona la sua grazia. Per questo motivo noi affermiamo che le grazie ricevute vengono percepite dai sensi, ma aggiungiamo il termine «spirituali» perché essi trascendono quelli naturali, dal momento che per prima li riceve la nostra mente: essa si eleva, infatti, sino alla Mente suprema in maniera più divina. Essa si trasforma e trasforma il corpo che le è legato per renderlo più divino, mostrando ed annunciando in questo modo l'assorbimento della carne per opera dello Spirito, come si verificherà nel secolo futuro. Non sono gli occhi del corpo, ma quelli dell'anima che ricevono la potenza dello Spirito, la quale permette loro di vedere simili cose. Questa potenza noi la chiamiamo «spirituale», sebbene sia superiore allo spirito umano.

34. Chiamandola in questa maniera si eviterà di far considerare l'energia spirituale e misteriosa materiale, altrimenti si cadrebbe vittime di questo errore. Con le loro orecchie impure e sacrileghe, col loro pensiero miscredente i filosofi non si conformano agli insegnamenti dei Padri, i quali li hanno avuti, a loro volta, dai santi, e non credono al grande Macario, di cui forse ignorano l'insegnamento. «Le cose spirituali, egli dice, sono inaccessibili per coloro che non hanno l'esperienza, ma la comunione con lo Spirito può essere raggiunta da un'anima santa e perseverante. I tesori celesti dello Spirito si manifestano solamente a quelli che hanno esperienza e chi non è iniziato non li può nemmeno immaginare». Ascoltalo come parla con pietà di quei doni, perché in te venga la fede, divenendo così degno di quei tesori. È in questo momento che l'esperienza intima degli occhi della tua anima ti mostrerà quali beni e quali tesori possono ricevere già in questo mondo le anime cristiane. Però quando odi parlare degli occhi dell'anima che hanno esperienza dei tesori celesti, non devi far riferimento alla ragione. Questa, infatti, si esercita in maniera soddisfacente sia sulle cose sensibili sia sulle cose intelligibili; ad ogni modo, se tu immagini una città che non hai mai veduto, certamente non hai di questa un'esperienza solo per il fatto di averla pensata; allo stesso modo non puoi acquisire esperienza di Dio solo perché tu lo pensi o ne parli. Se tu non possiedi materialmente dell’oro, se non lo vedi con i tuoi occhi sensibili, se non lo stringi tra le mani significa che non ce l'hai, anche se l'idea dell'oro passa mille volte per la tua testa. Allo stesso modo se tu pensi migliaia di volte ai tesori divini, senza provarli con l'esperienza e gli occhi spirituali che trascendono la ragione, non vedi nulla e non possiedi alcuna cosa divina. Ho parlato di occhi spirituali perché in essi sopravviene la potenza dello Spirito che permette di vedere: tuttavia tutta questa santa visione della divinissima luce più che luminosa trascende gli stessi occhi spirituali.

35. Ecco perché il Signore non ha chiamato tutti i suoi discepoli alla visione del Tabor, ma solo quelli prediletti. Il grande Dionigi l'Areopagita sostiene che nel secolo futuro saremo «illuminati dall'apparizione visibile di Cristo come è avvenuto ai suoi discepoli nella Trasfigurazione, e parteciperemo della luce intelligibile con una mente impassibile ed immateriale e dell'unione che supera la mente ad imitazione più divina degli spiriti sovracelesti». Neppure allora, però, percepiremo lo splendore che si espande da quel corpo adorato se i sensi non percepiscono in virtù di un animo razionale: solo questa infatti può far penetrare la potenza dello Spirito che a sua volta induce a contemplare la luce della grazia. Il santo stesso lo fa capire, con le sue parole, a chi ha intelligenza. Egli afferma che nel secolo futuro saremo illuminati da questa luce; secolo a cui non appartiene la necessità della luce, dell'aria, né di qualsiasi altra cosa di cui nel presente si abbisogna. La Scrittura, ispirata da Dio, ci insegna: Dio sarà tutto in tutti (1 Cor 15,28), nessuno avrà più bisogno di luce sensibile; poiché se per noi Dio è tutto anche quella luce sarà divina. Allora come potrà essere sensibile propriamente parlando? Quella luce che per divina iniziazione «diventa sempre più vicino agli angeli» e che può essere chiamata in tre modi diversi, è la medesima che ricevono gli angeli. In che modo dunque sarebbe sensibile? Se fosse sensibile la si vedrebbe chiaramente nell'aria non nella misura della virtù di ciascuno e della purezza che ne deriva. I giusti quindi saranno luminosi come il sole (Mt 13,43) e verrebbero ad essere più o meno splendenti, non per le loro opere, ma secondo la purezza dell'aria! Sarebbero perciò sin d'ora visibili ai sensi, questi beni che l'occhio non ha visto e l'orecchio non ha inteso (ICor 2,9), ma neppure sono giunti nel cuore dell'uomo che tenta di penetrare i misteri incomprensibili con la ragione. Dato che è sensibile, la luce sarà visibile ai peccatori? Ci sarebbero, forse, seguendo questi signori, barriere di ombre e di coni, congiunzioni che danno luogo ad eclissi e cicli di luce dalle forme più diverse? Significa che nel secolo futuro avremo bisogno dell'inutile scienza degli astrologi?

36. I sensi corporali in quale modo percepiranno una luce non propriamente sensibile? Grazie alla potenza dello Spirito attraverso la quale gli apostoli prediletti hanno potuto contemplarla sul Tabor, mentre rifulgeva non solo sulla carne portata dal Figlio, ma anche sulla nube che portava il Padre di Cristo. D'altronde nel secolo futuro il corpo non sarà «psichico», ma spirituale, come insegna l'apostolo: è stato seminato un corpo psichico ed è risorto un corpo spirituale (1 Cor 15,44). L'uomo spirituale, infatti, vedrà spiritualmente dato che percepirà il raggio divino. Oggi possiamo realmente constatare che possediamo un'anima spirituale avente, in questa carne grossolana, mortale e pesante che la umilia e la rende simile al corpo, un'esistenza propria. Per questo motivo trascuriamo con la mente la sensibilità spirituale. Nell'esistenza del secolo futuro per l 'figli della resurrezione (Lc 20,36) il corpo sarà come nascosto perché, come insegna il Vangelo, essi hanno ricevuto la dignità angelica. Il corpo sarà talmente sottile che sembrerà immateriale e non si opporrà più alle energie spirituali. Ecco perché gli uomini godranno anche con i loro sensi corporali della luce divina.

37. Perché ho parlato solamente del legame che si stabilirà tra il corpo e la natura spirituale dell'uomo? San Massimo ammaestra dicendo: «L'anima partecipando alla grazia diviene Dio, dopo aver bloccato ogni movimento della mente e dei sensi, come anche ogni energia naturale del corpo; poiché il corpo divinizzato partecipa come l'anima alla deificazione conformemente al suo merito: Dio appare allora nell'anima e nel corpo perché le particolarità della loro natura sono distrutte per la sovrabbondanza di grazia». Dio, quindi, come ho sostenuto sopra, è invisibile alle creature, ma non a se stesso, e allora, miracolosamente non guarderà solamente attraverso l'anima, ma anche attraverso il corpo. Ecco allora perché vedremo attraverso i nostri organi corporali più chiaramente la luce divina e inaccessibile; questo è il pegno futuro che Cristo ha manifestato in maniera indicibile agli apostoli sul Tabor. In che modo possiamo affermare che il raggio divino, pur oltrepassando ogni parola e ogni visione, appartiene al campo del sensibile? Comprendi, ora, che quella luce che ha illuminato gli apostoli sul Tabor non era sensibile nel comune senso della parola?

38. Dato che la luce divina, che oltrepassa ogni sensibilità, è apparsa a degli occhi sensibili e corporali, perché non dovrebbe apparire anche a quelli intellettuali? L'anima sarebbe, forse, qualcosa di cattivo, incapace di unirsi al bene e di percepirlo? Nessun eretico ha mai osato dire tanto! Sarebbe, forse, una cosa buona, ma il corpo è superiore ad essa? L'anima come non sarebbe inferiore al corpo se esso potesse partecipare alla luce divina e l'anima no? Questo corpo mortale e materiale non sarebbe, forse, più vicino, più simile a Dio dell'anima dato che attraverso il corpo può vedere Dio nella luce e non il contrario? Se la Trasfigurazione del Signore sul Tabor è stata un anticipo dell'apparizione visibile di Dio nella gloria futura e se gli apostoli furono giudicati degni di contemplarla con i loro occhi corporali, perché coloro che hanno purificato il loro cuore non dovrebbero contemplare con gli occhi dell'anima il preludio e il pegno dell'apparizione secondo lo Spirito? Ma poiché il Figlio di Dio, nel suo incomparabile amore per gli uomini, non ha disdegnato di unire la sua ipostasi divina con la nostra natura, rivestendo un corpo animato e un'anima fornita di intelligenza, per apparire sulla terra e vivere con gli uomini (Bar 3,38), e dato che si è unito, nella sua incomparabile sovrabbondanza, alle stesse ipostasi umane, confondendosi con la comunione del suo santo corpo, dato che diviene un solo corpo con noi, facendone un tempio della divinità, come potrebbe non illuminare coloro che degnamente comunicano con il raggio divino del suo corpo, che è in noi, illuminando l'anima allo stesso modo di come ha illuminato il corpo dei discepoli sul Tabor? Allora il corpo di Cristo, fonte della grazia, pur non essendo unito al nostro corpo, ha illuminato dal di fuori quelli che lo avvicinavano degnamente inviando all'anima l'illuminazione attraverso gli occhi sensibili. Oggi, invece, dato che è confuso in noi, a buon diritto illumina l'anima dall'interno.

39. In che modo nel secolo futuro noi vedremo Dio faccia a faccia come sostengono le Scritture? Coloro che hanno il cuore purificato vedono sensibilmente la sua figura spirituale ed invisibile che dimora all'interno di loro stessi. Essendo lo spirito di natura immateriale, si può affermare che esso è affine alla luce prima e sublime con cui tutte le cose comunicano, anche se è completamente trascendente. Quando l'anima, attraverso una completa tensione verso la vera luce, si eleva, senza ritorno, verso la dignità angelica, essendo illuminata come gli angeli dalla prima luce, sembra per partecipazione ciò che l'Archetipo è in quanto causa e manifesta per mezzo di se stessa la bellezza nascosta col suo splendore accecante e inaccessibile. Il divino cantore Davide, percependo spiritualmente questa luce, gioiva interiormente e insegnava ai suoi discepoli questo mistero: lo splendore di Dio è su di noi (Sal 89,17). Se qualcuno non ha provato e non ha visto in se stesso lo splendore divino, e poi lo ricerca attraverso distinzioni, ragionamenti e analisi, senza prestar fede ai Padri con la semplicità del cuore, come può ammettere che qualcuno possegga lo splendore divino? Giovanni ci ha rivelato nell'Apocalisse che nessuno può sapere quello che è scritto sulla pietra bianca che il vincitore ottiene da Dio se non colui che la riceve (2,17), tanto più chi non la possiede. Questi, dunque, dovrà prestare attenzione a coloro che l'hanno ricevuta, altrimenti non ne conoscerà nemmeno l'esistenza, e confonderebbe la vera contemplazione per incapacità di vedere, non perché è superiore alla sensazione e alla conoscenza, come una nube santa, ma piuttosto perché per lui tale pietra non esisteva in alcun modo. E se, per ignoranza e incredulità, possiederà tanta malafede da giungere alla calunnia, se assumerà pensieri inutili e se avrà l'audacia di disprezzare i Padri più venerati, non si accontenterà di decretare l'inesistenza della contemplazione, ma nella sua fantasia demoniaca impartirà un falso insegnamento sullo splendore divino. Fratello, come tu dici, alcuni oggi sono giunti a questo.

40. Ecco l'ultimo pretesto che questi signori invocano: Dio è invisibile il diavolo invece, simula un angelo di luce (2 Cor 11,14) e non capiscono che la verità precede la menzogna. Infatti, se il diavolo si finge un angelo di luce, simulando la verità, significa che esiste realmente un angelo di luce, l'angelo buono. Di quale luce è messaggero l'angelo di luce? Non è forse quella di Dio? Dio è luce e l'angelo di Dio è l'angelo della sua luce. Se l'angelo cattivo simulasse solamente conoscenza e virtù, si potrebbe dedurre che l'illuminazione derivante consista solamente in conoscenza e virtù. Però, dato che l'angelo cattivo porta anche una luce immaginativa, diversa dalla virtù e dalla conoscenza, esiste dunque una vera luce spirituale, divina, diversa dalla virtù e dalla conoscenza. Questa luce immaginativa è il maligno stesso, che è tenebra, ma simula la luce, mentre la luce che illumina gli angeli, e gli uomini simili a loro, in verità, è Dio stesso, il quale è veramente luce misteriosa che si manifesta luminosamente e che trasforma in luce coloro che hanno il cuore puro. Si chiama luce non solo perché perseguita le tenebre dell'ignoranza, ma anche perché illumina le anime come insegna sia Massimo sia Gregorio il Teologo. Da san Nilo apprenderai, fratello, con chiarezza che questa illuminazione non è solo una conoscenza o una virtù, poiché trascende entrambi. Egli dice: «Lo spirito che si raccoglie in se stesso, non contempla più nulla di sensibile o di razionale, ma spiriti puri e raggi divini da cui scaturiscono pace e gioia». Non vedi che la contemplazione oltrepassa ogni azione, ogni modo di essere e ogni ragionamento? Hai compreso quello che si è sostenuto in precedenza: «vedeva il suo spirito rivestito di un colore celeste» e ora manifestatamente ce lo mostra pieno di splendore divino? Lasciati convincere ancora dal suo insegnamento che conduce a questa felice esperienza e a questa visione beata. Egli dice: «La preghiera che ricerca l'attenzione troverà la preghiera verso cui ci si deve impegnare con vigilanza, infatti colui che ha veramente pregato legando la sua mente alla preghiera divina, quello sarà illuminato dallo splendore di Dio». Vuoi ancora udire ciò che insegna Massimo? Ecco: «Colui che ha reso puro il suo cuore non conoscerà solamente la ragione delle cose inferiori e quelle che vengono dopo Dio, ma vedrà Dio stesso».

41. Dove sono coloro che insegnano che la saggezza profana procura la conoscenza degli esseri e l'innalzamento verso Dio? È detto: «Dio, quando è presente nel cuore, vi inscrive le proprie lettere con lo Spirito, come sulle Tavole di Mosè». Dove sono quelli che insegnano che Dio non può essere ricevuto nel cuore, mentre Paolo, per primo, afferma che la legge della grazia è stata impressa non su tavole di pietra, ma su quelle della carne e sui cuori (2 Cor 3,3) ? Come sostiene pure il grande Macario: «Il cuore guida tutto l'organismo e quando la grazia occupa il pascolo del cuore regna su tutti i pensieri e su tutte le membra: è lì, infatti, che si trova la mente e ogni pensiero dell'anima. È lì quindi che si deve osservare se la grazia vi ha impresso le leggi dello Spirito ». Che ascoltino ancora san Massimo che per la sua purezza venne illuminato dalla conoscenza e da ciò che la supera: «Il cuore puro è quello che ha presentato a Dio una mente estranea ad ogni forma e pronta ad essere segnata dai soli caratteri attraverso cui Dio, in genere, si manifesta». Dove sono quelli che affermano che Dio è conoscibile solo attraverso la conoscenza degli esseri, rifiutando di desiderare la sua manifestazione derivante dall'amore? Anche Dio per bocca dei Padri teofori afferma: «Non andate a scuola da un uomo o da un libro, ma a quella dell'illuminazione dove cogliete i miei raggi che agiscono in voi». La mente estranea ad ogni forma e segnata dall'impronta divina, perché non dovrebbe essere superiore alla conoscenza che deriva dagli esseri creati?

42. Il segno posto sulla mente dai caratteri divini e misteriosi dello Spirito è molto diverso da quello della teologia negativa che innalza la ragione verso Dio. La teologia è lontana dalla visione luminosa di Dio, come è diversa dal colloquio intimo con lui, poiché la conoscenza è tutt'altra cosa rispetto al possesso. Dire qualcosa intorno a Dio non significa incontrarlo, per dire qualcosa si ha bisogno della parola, e probabilmente anche dell'arte che la riguarda, a meno che non si voglia possedere la conoscenza e non comunicarla. Si ha bisogno anche dei vari ragionamenti che producono le necessarie dimostrazioni e di tutti gli esempi che ne derivano; tutte queste cose, o la maggior parte di esse, vengono immagazzinate dall'udito 0 dalla vista e tutti, press'a poco, si verificano in questo mondo, tanto che i sapienti di questo mondo possono servirsene, senza per questo purificare la loro vita e la loro anima. Non possiamo, invece, possedere Dio in noi, praticarlo nella purezza e confonderci nella luce confidando sulle sole capacità umane, a meno che, dopo essere stati purificati dalla virtù, non oltrepassiamo noi stessi, abbandonando ogni cosa sensibile per innalzarci al di là dei pensieri, dei ragionamenti e della conoscenza che deriva da essi. Tutto questo per abbandonarci all'energia immateriale e spirituale della preghiera, per incontrare l'ignoranza che supera ogni conoscenza, per renderci pieni della bellezza splendente dello Spirito, affinché si possa contemplare in maniera invisibile i privilegi della natura del secolo che non tramonta. Comprendi in quale abisso è ancorata la filosofia vantata da quei filosofi? I suoi princìpi derivano dalla sensazione e il suo fine consiste nella conoscenza dei diversi aspetti di essa. La conoscenza dei filosofi può essere acquisita senza purezza dato che essa non purifica l'anima dalle passioni. Al contrario, il principio della contemplazione spirituale è il Bene che proviene dalla vita pura, vera e dall'autentica conoscenza degli esseri non proveniente dagli studi. Questa purezza è capace di distinguere ciò che è veramente buono e utile da quello che non lo è. Il fine verso cui tende la contemplazione spirituale è il pegno del secolo futuro, l'ignoranza che supera la conoscenza, la partecipazione misteriosa al mistero e la visione inesprimibile, la contemplazione e la salvezza mistica.

43. Se ascolti e comprendi bene quello che ti dico, sai dove si trova la luce del secolo futuro: luce che ha illuminato i discepoli durante la Trasfigurazione di Cristo e che ancora illumina la mente purificata dalla virtù e dalla preghiera. Dionigi l'Areopagita dice chiaramete che nel secolo futuro il corpo dei santi sarà illuminato da Cristo con la medesima luce del Tabor. Anche Macario afferma: «L'anima unita alla luce dell'immagine celeste è iniziata sin d'ora, nella sua ipostasi, alla conoscenza dei misteri; mentre anche il corpo verrà illuminato nel grande giorno della risurrezione dalla stessa immagine celeste della gloria». Egli ha detto «nella sua ipostasi» perché nessuno supponga che questa illuminazione derivi dalla conoscenza e dai concetti. In altre parole, l'ipostasi dell'uomo spirituale è composta di tre parti: la grazia dello Spirito celeste, l'anima razionale e il corpo terrestre. Ascolta ancora: «L'immagine deiforme dello Spirito, che sin d'ora è impressa dentro di noi, darà esteriormente anche al corpo un carattere deiforme e celeste. E ancora: «Dio, riconciliato con l'umanità, ristabilisce nella gioia della luce celeste l'anima che ha ricevuto la vera fede quando essa è ancora nel corpo, illumina nuovamente i suoi sensi spirituali con la luce divina della grazia e poi rivestirà di gloria il corpo stesso». E ancora: «Solo quello che li ha ricevuti con l'esperienza si rende conto, per mezzo degli occhi dell'anima, quali beni e quali misteri le anime cristiane possano raggiungere anche sulla terra; ma quando verrà la risurrezione anche il corpo riceverà tali beni, li vedrà e li possederà, essendo divenuto Spirito lui stesso». Non è chiaro che c'è una sola luce divina: quella contemplata dagli apostoli sul Tabor, quella che le anime purificate contemplano sin d'ora e quella che è la realtà stessa dei beni eterni? Ecco perché il grande Basilio ha affermato che la luce taborica della Trasfigurazione del Signore era solo l'anticipo della gloria di Cristo. Egli sostiene chiaramente: «La potenza divina, illuminando quelli che avevano purificato gli occhi del loro cuore, appariva come una luce celeste attraverso un cristallo, cioè attraverso la carne che il Signore aveva assunto da noi». Non è, forse, la luce del Tabor che risplendette con tanta intensità che gli occhi del corpo poterono percepirla? Essa era visibile ai cuori purificati perché come un sole essa risplendeva terribilmente avviluppando i loro cuori di luce. Anche noi potremmo trovarci con il volto scoperto con loro e contemplare come in uno specchio la gloria del Signore (2 Cor 3,18). Noi che crediamo a queste parole dovremmo realizzare questo augurio manifestato dal grande dottore.

44. Quella grande luce, venuta a noi nella carne e apparsa attraverso essa, si faceva contemplare dai cuori puri. Oggi come la si può scorge re? Se lo vuoi sapere va presso coloro che la vedono, perché anch'io l'ho appreso da loro e, per usare le parole di Davide: ho creduto, ecco perché ho parlato (Sal 115,1). Bisogna, però, aggiungere anche quello che dichiara l'apostolo: anche noi crediamo, ecco perché parliamo (2 Cor 4,13). Colui che si è allontanato dalle ricchezze materiali, dalla gloria umana e dal piacere della carne può abbracciare la vita evangelica; colui che si è confermato in questo distacco sottomettendosi a coloro che hanno raggiunto lo stato d'uomo secondo il Cristo (Ef 4,13), vede infiammarsi in lui grandemente l'amore impassibile, sacro e divino e desidera Dio, in maniera sovrannaturale, e l'unione sovracosmica con lui. Completamente posseduto da questo umore, trova necessario osservare ed esaminare accuratamente le energie del corpo e le potenze dell'anima: non troverà forse allora in esse un mezzo per unirsi a Dio? Queste energie e queste potenze le trova in se stesso e nell'iniziazione alla dottrina degli uomini esperti che sono a prima vista completamente irrazionali, mentre altre azioni che sembrano razionali non si elevano di molto dal livello sensibile. L'opinione e il ragionamento, anche se sono potenze razionali non si emancipano dal centro delle sensazioni, cioè dall'immaginazione. Bisogna aver la saggezza di riconoscere che questo è lo spirito psichico, organo attraverso cui queste si realizzano, come dice l'apostolo: l'uomo psichico non accetta le cose dello Spirito (1 Cor 2,14). Si deve cercare la vita spirituale che supera tutte queste difficoltà in quanto non è contaminata con le cose di quaggiù. Si ascoltino le parole di Nilo, saggio delle cose divine: «Anche se la mente si eleva al di sopra delle cose corporali, essa non ha ancora la vista perfetta del luogo di Dio, infatti è ancora nella scienza dei pensieri, dato che si disperde nella molteplicità». E ancora: «La mente anche quando si trova nei pensieri più alti, è molto lontana da Dio».

45. Dal grande Dionigi e dall'eccelso Massimo si apprende che il nostro spirito da una parte possiede una potenza intellettiva attraverso cui percepisce le cose sensibili, e dall'altra un'unione che trascende la natura della mente grazie alla quale le è permesso di legarsi a ciò che la supera. La mente, infatti, ricerca questa facoltà superiore che possediamo, quest'essenza unica, perfetta, semplice e inseparabile dalla nostra natura, la quale circoscrive ed unifica le analisi della ragione, su cui si fonda la certezza delle conoscenze scientifiche e che in maniera progressiva si contrae nella sintesi e si estende nell'analisi come fanno i rettili. Questa facoltà è la forma delle forme. Infatti, se la mente scende sino a queste contorsioni, sino alle varie diversificazioni della vita, comunicando energia ad ogni attività, tuttavia essa possiede anche un'altra energia superiore che può esercitare da sola quando si separa dal genere di vita presente, mutevole e instabile. La mente è come un esperto cavaliere il quale possiede una capacità di guidare notevolmente superiore che esercita sia quando è a terra, sia stando sul cavallo o sul carro, se non si dedicasse, in quest'ultimo caso, alla cura effettiva della guida. Allo stesso modo la mente se non si rivolgesse continuamente verso il basso potrebbe godere della sua energia superiore e sublime; però per essa ciò è di gran lunga più difficile rispetto al cavaliere, poiché per natura essa è legata al corpo, implicata nelle conoscenze delle forme materiali, che sono difficili da eliminare. La mente, quindi, svolgendo la propria attività da sola, che consiste nel rientrare in se stessa e vigilare, trascenderebbe se stessa e in questo modo potrebbe congiungersi con Dio.

46. Ecco perché chi vuole vivere amorevolmente con Dio fugge la vita mondana e sceglie quella monastica, estranea al matrimonio, sperando di abitare senza turbamento e distrazione nel santuario dell'esichia, lontano da ogni contatto esteriore. L'asceta, per quanto è possibile, scioglie la sua anima da ogni legame materiale e unisce la sua mente con Dio attraverso la preghiera ininterrotta. Per mezzo di essa egli si concentra totalmente in se stesso e trova una maniera nuova e misteriosa per salire nei cieli: questa può essere chiamata l'inafferrabile tenebra del silenzio iniziatico. Con una gioia inesprimibile unisce accuratamente la sua mente in una calma semplice, completa e piena di dolcezza nel riposo e nel vero silenzio e aleggia al di sopra di tutte le creature. Così, uscendo completamente da se stesso e donandosi totalmente a Dio, egli vede la sua gloria e contempla la sua luce, la quale non cade mai sotto i sensi in quanto tali, ma costituisce la visione santa delle anime e degli spiriti senza macchia. Senza questa luce, nessuna mente può vedere spiritualmente nell'unione che la supera, come nessun occhio corporeo può vedere senza luce sensibile.

47. La nostra mente esce da se stessa e si unisce a Dio superandosi. Da parte sua, anche Dio esce da se stesso per unirsi alla nostra mente con un atto di degnazione: «Come incantato dal suo amore e dal suo affetto, in un eccesso di bontà, esce senza dividersi da se stesso, lui che è al di sopra di tutto e che trascende ogni cosa». Per mezzo dell'unione che supera la mente egli si unisce a noi per degnazione come fa pure con gli angeli. San Macario ci insegna: «Nella sua infinita bontà il Grande e il Sovraessenziale si sminuisce per poter mescolarsi con le sue creature spirituali, cioè con le anime dei santi e degli angeli, perché anch'essi, per mezzo della sua divinità, possano comunicare con la vita immortale». Perché Dio non dovrebbe avere questa degnazione, dato che ha assunto la nostra carne, carne di morte, fino alla morte in croce per togliere il velo delle tenebre che era piombato nelle anime dopo la caduta e comunicare la sua luce, come ci ha insegnato il santo sovracitato?

48. Tremate uomini senza fede che conducete gli altri alla miscredenza, ciechi che volete condurre altri ciechi e che vi allontanate da Dio trascinando gli altri! Voi che insegnate che Dio non è luce con il pretesto che non lo vedete e voi che non soltanto distogliete gli occhi dalla luce per inseguire le tenebre, ma chiamate la luce tenebre e rendete inutile per voi questa degnazione di Dio! Non sareste giunti a tanto se aveste creduto alle parole dei Padri, perché coloro che credono venerano non soltanto i carismi provenienti dal cielo, ma anche quelli incerti. Dice san Marco: «Esiste infatti una grazia che il bimbo di tenera età ignora, la quale non deve essere anatematizzata perché può essere veritiera, ma neanche accettata perché può portare all'errore». Come vedi, esiste una grazia vera diversa dalla verità dei dogmi, la quale non può essere contestata. Dunque c'è una grazia agente e manifesta che supera ogni conoscenza: per questo non è pietoso considerarla come un errore dato che non è stata ancora messa alla prova. Ecco perché il divino Nilo consiglia pure lui di chiedere a Dio d'essere illuminati su simili fenomeni: «In quel momento prega con fervore perché Dio stesso ti illumini per comprendere se la visione deriva da lui e perché scacci l'errore il più lontano possibile da lui». Alcuni Padri hanno spiegato quali segni distinguono la verità dall'errore. L'errore, infatti, anche se maschera il bene, anche se si riveste in maniera luminosa, non sarà mai all'origine di una buona azione: non farà odiare il mondo, disprezzare la gloria umana, desiderare le cose celesti e non aiuterà a reprimere i cattivi pensieri. Inoltre, non farà cessare le passioni e non porrà l'anima nelle buone disposizioni, dato che ogni virtù è prodotta dalla grazia, mentre l'errore genera il contrario. Alcuni, grazie alla loro vasta esperienza, hanno descritto le particolarità della visione spirituale, per cui dagli effetti che produce la si può riconoscere. «Dai suoi effetti saprai se la luce proviene da Dio o da Satana, perché non consideri Colui che ha distrutto l'errore come un ingannatore e perché non scambi la verità per errore».

49. Questa luce non ingannevole non appartiene al secolo presente e colui che afferma ciò sta dalla parte dei lupi. Coloro che prendono come pretesto le debolezze umane per dichiarare che gli uomini che hanno ricevuto la grazia sono nell'errore, considerino invece quanto si sono allontanati dalla verità. Non ascoltano l'autore della Scala che afferma: «Solo l'angelo e non l'uomo può evitare l'errore che proviene dai peccati». E prosegue: «Alcuni riconoscono i loro peccati e si umiliano e grazie a ciò si conciliano con la Madre dei carismi». Fra gli uomini non bisogna ricercare l'impassibilità angelica, ma quella umana. Lo stesso santo afferma: «Senza errore vedrai che essa si trova in te provando vivamente un'abbondanza di luce indicibile e un amore inesprimibile della preghiera». E ancora: «Solamente l'anima completamente sgombra da propositi malvagi contempla la luce divina; la conoscenza dei dogmi divini, invece, è posseduta da quelli che ne hanno predisposizione». E ancora: «Coloro che hanno un'anima debole riconoscono da altri segni lo sguardo che il Signore pone su di loro, mentre i perfetti riconoscono i segni divini dalla presenza dello Spirito». E infine: «Per quelli che sono dei principianti si ha la certezza del loro progresso nella volontà di Dio dalla crescita di umiltà. Per quelli che sono a metà strada è la ritirata davanti ai combattimenti, mentre per i perfetti è la sovrabbondanza di luce divina » .

50. Se, dunque, questa luce non è spirituale e non dà la conoscenza, ma, come dicono i Padri, essa stessa costituisce piuttosto una conoscenza e, visto che un'abbondanza di luce testimonia la prova di una vita perfetta gradita a Dio, la vita di Salomone sarebbe stata più perfetta e più gradita a Dio di quella dei santi, per non menzionare poi gli Elleni che vengono ammirati per la loro vasta saggezza! Dato che questa luce a volte illumina, in maniera più o meno chiara anche qualche novizio e visto che procura ai perfetti un'abbondanza di umiltà, diversa da quella dei novizi, il Padre sovracitato aggiunge: «Per i perfetti le piccole cose non sono mai tali, per i piccoli le grandi cose sono sempre imperfette». Tu, però, saprai chiaramente che l'amore di Dio verso gli uomini ammette che la grazia illumini anche i piccoli; ascolta il famoso Diadoco: «All'inizio si sente fortemente la grazia che illumina l'anima con la sua luce, mentre nelle lotte contro il nemico agisce senza farsi riconoscere». «Lo Spirito santo comprendendo la nostra debolezza ci visita anche quando siamo impuri e se trova la mente aperta alla verità le si rivolge con la preghiera, entra e dissipa la moltitudine di pensieri e di ragionamenti vani che l'assediano». San Macario dice: «Dio è buono nel suo immenso amore per gli uomini ed esaudisce le preghiere degli oranti; qualche volta va ad abitare in colui che si sazia nella preghiera, anche se non ha manifestato uguale zelo verso altre virtù. La preghiera viene concessa in rapporto alla grazia, nella gioia, secondo quello che si chiede a Dio, anche se si rimane sprovvisti degli altri beni. Non bisogna tuttavia trascurare gli altri beni, ma attraverso la lotta e la perseveranza, bisogna rendere il proprio cuore compiacente ed obbediente a Dio, per poter ricercare ed acquisire tutte le virtù. Così, il carisma della preghiera accordato dallo Spirito fruttificherà e condurrà ad una vera umiltà, a un amore vero e a tutta una serie di virtù invocati fin dall'inizio della lotta».

51. Comprendi ora l'importanza del richiamo dei Padri? Esso aggiunge all'edificio in costruzione quello che gli mancava, ma non per questo distrugge le fondamenta con il pretesto che i muri non sono ancora ricostruiti e che non vi è ancora il tetto. Esso, infatti, sa e comprende con l'esperienza che il regno dei cieli che è in noi è come un granello di senape: la più piccola di tutte le sementi che diventa poi così grande da superare le potenze dell'anima al punto di trasformarsi in maniera confortevole per gli uccelli del cielo (Mt 13,31-32). Quelli di cui mi parli, fratello, osano giudicare perché sono privi di giudizio e, nella loro inesperienza, sono completamente privi di ciò che è utile per i loro fratelli. Con impudenza usurpano il giudizio di Dio: quello che scelgono loro lo ritengono degno della grazia e non viceversa, mentre invece appartiene solamente a Dio designare quelli che sono degni della sua grazia. Se lui ha accolto un uomo, chi sei tu che giudichi un servo altrui? (Rm 14,4) dice l'apostolo. Per quanto ci riguarda ritorniamo al nostro punto di partenza e aggiungiamo ancora qualche parola prima che il nostro trattato diventi troppo lungo.

52. Colui che non crede al grande mistero della grazia, e che ignora la speranza della deificazione, non può disprezzare i piaceri della carne, il denaro, la ricchezza e la gloria umana. E se per un momento può farlo, preso dall'orgoglio è convinto d'aver raggiunto la perfezione massima, ricadendo così nella compagnia degli impuri. Colui che desidera questa speranza, pur avendo compiuto tutte le buone azioni, ricerca la perfezione infinita e più perfetta: non considera nulla di acquisito, progredendo, in questa maniera nell'umiltà. Egli pensa, piuttosto, alla superiorità dei santi che lo hanno preceduto e alla sovrabbondanza dell'amore divino per gli uomini. Egli piange e grida come Isaia: O infelice! Sono impuro, ho le labbra impure e ho vasto con i miei occhi il Signore Sabaoth (6,5). Le lacrime fanno progredire nella purificazione e il Signore della grazia vi aggiunge la consolazione e l'illuminazione. Ecco perché Giovanni con la sua esperienza ci insegna: «L'abisso dell'afflizione ha visto la consolazione e la purezza del cuore ha visto l'illuminazione». È solamente il cuore purificato che riceve l'illuminazione, mentre invece un cuore impuro è solo in grado di argomentare o conoscere qualcosa intorno a Dio. E evidente che questa illuminazione supera ogni parola e ogni conoscenza anche se viene chiamata «conoscenza» o «intellezione», dato che è lo Spirito a fornirla all'intelligenza. Infatti si tratta di un altro aspetto dell'intellezione, di un aspetto spirituale, inaccessibile anche ai cuori fedeli; a meno che non siano stati purificati dalle opere. Ecco perché Colui che dà la visione ne è anche l'oggetto, e come Dio, luce del cuore, insegna: Beati i puri di cuore perché vedranno Dio (Mt 5,8). Perché vengono chiamati beati se questa visione è conoscenza che possediamo anche noi pur essendo impuri? Quello che è stato illuminato e che ha fornito un'ottima definizione dell'illuminazione ha detto: l'illuminazione non è una conoscenza, ma «un'energia indicibile che si fa vedere, perché la visione non è sensibile, e viene compresa senza conoscere», dato che l'intelletto non appartiene alla ragione. Potrei aggiungere anche altre testimonianze, ma temo di aver scritto inutilmente anche queste cose. Infatti, seguendo il santo sovracitato: chi vuole raccontare con parole la sensazione e l'energia dell'illuminazione divina a coloro che non l'hanno gustata è simile a colui che vorrebbe insegnare con la parola il sapore del miele a chi non l'ha assaggiato. I nostri trattati tuttavia sono indirizzati a te, affinché tu apprenda ciò che è vero e perché tu sappia che pure noi concordiamo con le parole dei Padri. Esamina, dunque, le testimonianze che ho trascritto qui sotto.

(Le testimonianze trascritte nel manoscritto originale non ci sono pervenute nei manoscritti che oggi possediamo).

(Tratto da "Gregorio Palamas Difesa dei santi esicasti" Edizioni Messaggero Padova).