APOFATISMO

Disse il Signore a Mosè: «Anche quanto hai detto io farò, perché hai trovato grazia ai miei occhi e ti ho conosciuto per nome».
Gli disse: «Mostrami la tua Gloria!».
Rispose: «Farò passare davanti a te tutto il mio splendore e proclamerò il mio nome: Signore, davanti a te. Farò grazia a chi vorrò far grazia e avrò misericordia di chi vorrò aver misericordia». Soggiunse: «Ma tu non potrai vedere il mio volto, perché nessun uomo può vedermi e restare vivo». Aggiunse il Signore: «Ecco un luogo vicino a me. Tu starai sopra la rupe: quando passerà la mia Gloria, io ti porrò nella cavità della rupe e ti coprirò con la mano finché sarò passato. Poi toglierò la mano e vedrai le mie spalle, ma il mio volto non lo si può vedere». (Es 33,17-23
).

APOFATISMO

Gregorio Palamas riprende l'apofatismo dei Padri Cappadoci e dello Pseudo-Dionigi e lo costituisce quale principio ispiratore della sua teologia. Quello che bisogna subito spiegare è che l'apofatismo non viene inteso come una semplice teologia negativa; la pura via negativa sarebbe solo un ascendere dell'intelletto verso Dio per negazione, sarebbero solo parole che si riferiscono a Dio, sarebbe comunque un discorso su Dio. Come spiega molto bene Vladimir Lossky nel suo libro "La teologia mistica della Chiesa d'Oriente" l'apofatismo: "è innanzitutto una disposizione di spirito che rifugge dalla formazione di concetti su Dio; ciò esclude decisamente ogni teologia astratta e puramente intellettuale che vorrebbe adattare al pensiero umano i misteri della saggezza di Dio. E' un'attitudine esistenziale che impegna l'uomo interamente: non c'è teologia al di là dell'esperienza; bisogna cambiare, diventare un uomo nuovo; per conoscere Dio, bisogna avvicinarsi a Lui; non si è teologi se non si segue la via dell'unione con Dio. La via della conoscenza di Dio è necessariamente quella della deificazione. Colui che, seguendo questa via, s'immagina a un certo momento di aver conosciuto quel che Dio è, ha lo spirito corrotto, secondo S. Gregorio Nazianzeno. L'apofatismo è dunque un criterio, un segno sicuro di una disposizione di spirito conforme alla verità. In questo senso, ogni vera teologia è fondamentalmente una teologia apofatica".

Per Palamas, così come per i Padri della Chiesa non si tratta di speculare su Dio ma di fare esperienza di Dio. Non si tratta di "dire ciò che Dio non è", poiché "Dio non è solo al di sopra della conoscenza, ma anche della non conoscenza". La natura di Dio è assolutamente incomprensibile per tutti, oltrepassa ogni pensiero, ogni concetto ed ogni conoscenza; dice Palamas: "Nessuno può chiamarla essenza o natura in modo proprio, se ricerca veramente la verità che sta al di sopra di ogni verità".

Palamas afferma: "Infatti sanno bene che l'essenza di Dio è irraggiungibile per tutte le sensazioni, poiché Dio è non solo un ente superiore a tutti gli enti, ma è pure superiore a Dio, e che l'eccesso di chi è al di là di tutte le cose è superiore non solo ad ogni attribuzione, ma anche ad ogni sottrazione e ad ogni eccesso che possa venire a presentarsi all'intelletto." (Dal "Discorso terzo del secondo libro in difesa dei santi esicasti", Bompiani, pag. 633).

In molte opere dei Padri, in particolare nello Pseudo-Dionigi, per indicare la natura di Dio si usa spesso il termine "sovraessenza" ad indicare che la natura di Dio è al di là della essenza e della non essenza, quindi sempre ineffabile.

Gregorio Palamas distingue Dio in sé e Dio nelle sue azioni. L'inconoscibilità di Dio riguarda la sua natura, "Dio-in-sé" (kat'auton). Invece, Dio-nelle-sue-azioni o operazioni (peri auton) può essere conosciuto con gli "occhi spirituali". Questa conoscenza però non può essere concettualizzata, può essere solo sperimentata. Per Palamas esiste, quindi, un'antinomia nel tentativo dell'uomo di avvicinarsi a Dio perché questi è conoscibile ed inconoscibile, dicibile ed indicibile. Qui Palamas rifiuta ogni forma di agnosticismo ( che è il rischio di una pura e semplice teologia negativa ) e contemporaneamente riafferma la assoluta trascendenza di Dio; in questo consiste l'apofatismo palamita.

Bisogna sempre ricordare che l'apofatismo non è agnosticismo, infatti, afferma Lossky: "Inconoscibilità non vuol dire agnosticismo o rifiuto di conoscere Dio. Tuttavia, questa conoscenza si effettuerà sempre sulla via della quale il fine proprio non è la conoscenza ma l'unione, la deificazione. Non sarà mai dunque una teologia astratta, operante con dei concetti, ma una teologia contemplativa, elevante gli spiriti verso le realtà che superano la comprensione".

Palamas riferendosi all'esperienza degli esicasti, in contrapposizione con la conoscenza filosofica, afferma:

"Tuttavia supera se stesso non solo l'intelletto degli angeli, ma anche quello umano, il quale, grazie all'assenza di passioni, è divenuto di specie angelica; e perciò esso troverà quell'altra luce e sarà reso degno d'una teofania soprannaturale: vedendo non l'essenza di Dio, ma Dio grazie alla sua manifestazione conveniente a Dio e commisurata a se stesso. E non per negazione: ma in un modo superiore a quello negativo, dal momento che Dio è non solo al di sopra della conoscenza, ma anche superiore all'inconoscibile, e mantiene celata nel modo più vero anche la sua manifestazione, la cosa divina e più straordinaria di tutte, poiché le visioni di specie divina, anche quando siano simboliche, sono sempre inconoscibili per eccesso; esse si manifestano infatti secondo una norma che è altra sia dalla natura divina, sia da quella umana, e sono, per così dire, per noi al di sopra di noi, tanto che per esse non vi è neppure un nome che le indichi propriamente." ( Dal "Discorso terzo del primo libro in difesa dei santi esicasti", Bompiani, pag. 371).

Non solo qui Palamas sottolinea l'inconoscibilità della natura divina, ma afferma anche che la conoscenza derivante dall'esperienza, come quella degli esicasti, non è semplicemente teologia negativa, ma è molto di più. Inoltre in questo breve estratto, così come in altri suoi scritti, Palamas evidenzia l'importanza della pratica della vita ascetica, quando fa riferimento all'assenza di passioni. La conoscenza vera non sta nella speculazione ma nella pratica dei comandamenti di Cristo, nella purificazione del cuore e nella preghiera.


ESSENZA ED ENERGIE DIVINE INCREATE

Già Atanasio affermava: "Secondo l'essenza Egli rimane fuori dal creato, ma è in tutte le cose grazie alla sua potenza" e Basilio di Cesarea afferma: "Conosciamo l'essenza attraverso l'energia".

Con l'"essenza" di Dio si indica la sua alterità, con le "energie" la sua prossimità.

L'essenza indica quindi la assoluta trascendenza di Dio e le energie la sua onnipresenza e la sua immanenza. Quando si parla di energie non si deve pensare ad una emanazione che procede da Dio, le energie sono Dio stesso nella sua attività e autorivelazione, quando un uomo partecipa alle energie divine, conosce e partecipa realmente a Dio stesso, per quanto questo sia possibile ad un essere creato. Non si deve neanche pensare che le energie siano una "parte" di Dio, la divinità è una e indivisibile, l'essenza indica Dio nella sua totalità così come è in se stesso; le energie indicano Dio nella sua totalità , così come è in azione. Dio è presente totalmente in ciascuna delle sue energie; questo è un modo per esprimere l'inaccessibilità e la prossimità di Dio. In virtù di questo Palamas è in grado di affermare la possibilità di una unione mistica o diretta tra Dio e l'uomo, quella che i Padri chiamano "théosis" dell'uomo, la sua "deificazione" ma al tempo stesso esclude qualsiasi identificazione panteistica tra i due, l'uomo partecipa alle energie divine non all'essenza di Dio, tra l'uomo e Dio continua ad esserci una relazione "Io-Tu".

Il Dio dell'esperienza ecclesiale è Uno e Trino, Dio è consustanziale ( una Essenza ) e tri-ipostatico ( tre Ipostasi o Persone ). Nella teologia palamita le energie sono distinte sia dall'Essenza sia dalle Ipostasi; attraverso le energie, Dio si rivela e si rende partecipabile. Ogni manifestazione di Dio "ad extra", cioè al di fuori della sua essenza trascendente, è comunque una manifestazione personale. Così Dio crea il mondo non per una necessità naturale, ma di sua libera volontà, Egli agisce come Padre, Figlio e Spirito Santo. La distinzione fra essenza ed energie non nuoce alla semplicità e unicità di Dio, l'azione divina rimane semplice perché è Dio stesso (totalmente) l'unico agente in tutte le sue energie. Dice Palamas: "Dio è Dio e a Lui appartiene la divina essenza e la divina energia". Le energie sono comuni alle tre Ipostasi, quindi la natura divina è causa delle energie. Tuttavia, poiché non esiste l'essenza divina "nuda", ma sono le Ipostasi o Persone che la fanno esistere, le energie restano atti personali di Dio, l'energia è il modo in cui l'essenza si esteriorizza, rimanendo al tempo stesso trascendente. Il fatto che le energie restino atti personali significa che non sono atti necessari ma atti liberi dell'amore di Dio. Afferma Palamas:

"Dio è sé in se stesso, poiché le tre Ipostasi divine naturalmente, interamente, eternamente, inseparabilmente e insieme anche senza commistione e senza confusione, sono compresenti l'una nell'altra così che una sola è l'energia, cosa che non si potrebbe trovare in alcuna delle creature. Non è così di quelle tre divine adorabili Ipostasi, poiché in verità la loro energia è una sola e medesima. Uno solo, infatti, è il moto della volontà divina, che ha inizio dalla causa prima che è il Padre e procede mediante il Figlio e si manifesta nello Spirito Santo". (tr. it. Filocalia , IV, 119)

Le energie divine non sono "ipostatiche", cioè non hanno una Ipostasi propria, in questo caso dovrebbero appartenere ad una sola Persona divina. Esse però sono "enipostatizzate" sono, cioè, realtà veramente personali, coesistono e dipendono dall'ipostasi di un altro, ecco perché l'uomo può essere realmente divinizzato, proprio perché le energie si uniscono in modo stabile alle singole persone. Palamas afferma:

"Una tale vita divina e celeste che appartiene a coloro che vivono in modo conveniente a Dio partecipando alla vita inseparabile dello Spirito, esiste sempre nella natura dello Spirito. Essa è giustamente chiamata "Spirito" e "Divinità" dai santi, in quanto dono deificante che non si separa mai dallo Spirito che la dona...Essa è "ipostatizzata" non perché possegga un'ipostasi propria, ma in quanto lo Spirito la invia nell'ipostasi di un altro ed è in quest'ultima che può essere contemplata. Tutto questo in modo esatto è chiamato "enipostaton", cioè quello che non viene contemplato in sé o nella sua essenza, ma nell'ipostasi" (Cfr. Triadi, III, 1, 9)

Una delle cose che preme dimostrare a Palamas è che le energie divine sono increate, infatti la grazia di Dio, intesa come energia che scaturisce immediatamente da Lui e che salva l'uomo deificandolo, è una grazia increata. Infatti l'uomo resterebbe irredento e la "deificazione" non sarebbe reale se la grazia fosse creata. La grazia increata è la venuta e l'inabitazione di Lui nel fedele. Se la grazia divina fosse creata bisognerebbe concludere che anche la divina sostanza sia creata, dal momento che è noto come l'energia creata dice derivazione da una sostanza creata e, al contrario, l'energia increata manifesta l'origine dalla sostanza increata. Quindi, quando Barlaam afferma che una delle energie divine è creata, allora nega il carattere increato della divina sostanza, per cui, indirettamente, nega l'esistenza di Dio. Palamas dice:

"Secondo i padri portatori di Dio, infatti, la natura di ciascuna cosa è contrassegnata dal proprio atto, e l'atto increato mostra una natura increata, mentre quello creato ne mostra una creata." ("Lettera al monaco Dionigi" da "Che cos'è l'ortodossia", Bompiani, pag. 911)

E poi continua evidenziando l'eresia di chi afferma che l'energia è creata:

"Chi sostiene che solo la sostanza divina è increata, mentre...l'energia è creata, sdoppia l'unica sostanza tra creata e increata e così egli stesso si scinde e si separa dalla grazia divina non meno di Ario, di Eunomio e di Macedonio, anzi molto di più" (Contro Acindino, 3, 18).